The Cleveland Boys

Come ha fatto esattamente uno Springsteen alticcio ad arrivare a sporgersi dal finestrino anteriore di una Chevy Malibu scassata, diretto a nord sulla Interstate 77 in direzione di Cleveland, cantando a squarciagola la sua “Spirit in the night” presa da un bootleg?

 Tutta la storia porterà via un po’ di tempo, ma ne vale la pena. Non è mai stata raccontata per esteso soprattutto perché chi l’ha vissuto in prima persona è stato molto rispettoso della privacy di Springsteen. A dire il vero il gruppetto proveniente dal nord-est dell’Ohio, amici della leggenda del rock, vanno ben oltre la semplice protezione. Sono l’equivalente musicale di Dawy Pound: ferocemente leali, assurdamente fedeli e devoti per il suo talento e l’amicizia, anche se non hanno più potuto seguirlo assiduamente.

Questa avventura di tanto tempo fa era così estranea al personaggio di Springsteen come lo conosciamo noi (che non fuma, non tocca droghe e raramente beve oltre misura) che questi amici sono sempre stati, e lo sono tutt’ora, un po’ restii a raccontarla completamente anche 21 anni dopo.

Ma andiamo con ordine. Il tutto inizia un quarto di secolo fa a Akron (OH), Jim Kluter di Cleveland, ai tempi venticinquenne, faceva consegne con un camion della Pepsi ed era in crisi con la ragazza. Chiama Pat Erdman, suo compagno di avventura fin dalla quarta elementare, e si sfoga come si può fare solo con un amico vero. Quest’ultimo, sperando di sollevare il morale di Kluter, lo invita nel suo appartamento sulla Dodge Street e iniziano a parlare di donne, lavoro, speranze, sogni e di tutte quelle cose che si parla tra amici a 25 anni.

Per Erdmann arriva però l’ora di andare al lavoro, ma invita il suo amico a restare nel suo appartamento e mettere sul giradischi un LP che aveva appena acquistato di un tale di nome Bruce Springsteen: The Wild the Innocent and The E-Street Shuffle. Kluter ne rimane subito affascinato e per due giorni lo ascolta quasi ininterrottamente. Si sente come se questo Springsteen stesse parlando direttamente a lui.

Nel 1976 Kluter diventa così ossessionato da Springsteen che decide che deve conoscerlo di persona. Durante il week-end del 4 luglio, l’anno del bicentenario, insieme a due amici di Cleveland, Joey Juhasz e Bill Spratt, si reca ad Asbury Park, per trovare il suo idolo. In questo momento Kluter ha 50 anni ed è seduto sul divano di casa sua e ride di gusto della sua gioventù. Non dimentica però che Springsteen era già apparso sulle copertine di Time e Newsweek ed è il soggetto di una delle più famose frasi della storia della musica rock, mentre loro erano solo dei camionisti dell’Ohio.

Il terzetto vola a Newark, noleggia un’auto e va ad appostarsi fuori dallo Stone Pony, una delle tante tane di Bruce sul lungomare della famosa cittadina del New Jersey. Fortunatamente la sera successiva il Boss suona con una band locale, Southside Johnny & The Asbury Jukes. Nonostante questo i ragazzi non riescono ad avvicinarlo quella notte, ma vengono a sapere che il giorno dopo avrebbe giocato una partita di beneficenza di softball tra celebrità locali sul campo del liceo cittadino.

Quando Kluter arriva al liceo, va diritto in direzione di Springsteen che sta giocando battitore.

“Gli ho detto ‘Hey Bruce! I love you!’ e l’ho abbracciato”. Springsteen ride, chiede da dove viene e si intrattiene a parlare un po’ con lui e i suoi amici d’avventura. A questo punto, il trio ormai appagato, torna sulle tribune ad assistere alla partita. La squadra di Bruce non sembrava avere giocatori a sufficienza. Springsteen chiede allora ai tre ragazzi venuti da Cleveland se volevano giocare con lui. “Sicuro!” fu la risposta ovvia.

“Questi ragazzi non erano dei gran giocatori di softball” racconta Kluter a proposito di Springsteen e dei suoi amici. Così ho colpito, lanciato, corso, ho fatto tre fuoricampo e abbiamo vinto alla grande. Ricordo che dopo un fuoricampo sono passato davanti a Bruce che mi da “il cinque” e mi dice “Sei grande!” e io gli rispondo “Sono grande io? Sei tu quello grande!!”. Da quel momento ci chiamò con il nome di “The Cleveland Boys”.

I fans di Springsteen sanno di cosa parlo. Per anni Bruce ha dedicato canzoni ai Cleveland Boys durante i concerti in tutta la nazione. Durante un concerto al vecchio Agora Club di Cleveland, trasmesso alla radio in tutti gli States, Springsteen gli mise il microfono davanti alla faccia durante Jungleland e gli lasciò cantare un’intera frase. Più recentemente, nel 1992, gli ha dedicato “Growin’ up” durante uno show al Coliseum. Durante l’inaugurazione della Rock’n’Roll Hall Fame del 1995, Max Weinberg ha mandato in confusione i giornalisti per aver lodato pubblicamente i Cleveland Boys.

Ma ritorniamo al 1976. Dopo l’incontro di softball, Bruce invita i Cleveland Boys a tornare il weekend successivo per un’altra partita. Ovviamente i ragazzi non si fanno pregare e sette giorni dopo tornano nel New Jersey accompagnati da un altro autista della Pepsi, Johnny Kusznier che diventerà il quarto Cleveland Boy. Ironia della sorte, Erdmann, il ragazzo che ha dato il via a tutta questa avventura facendo ascoltare “The Wild…” a Kluter, dovette restare a casa.

Quando arrivarono, Springsteen chiese subito loro dove alloggiassero. Non avevano ancora una camera dove dormire, così il loro idolo li invita a passare la notte a casa sua. Il posto è perfetto per una superstar: una grande casa bianca con piscina sul retro e una Corvette nera in garage. Ma era praticamente priva di mobili e l’unica stanza con un tappeto era lo studio musicale. Verso mezzanotte Springsteen li porta proprio in quel locale, gli lancia dei cuscini e li lascia dormire tra le sue chitarre e i testi di canzoni non ancora terminati. “….e non ci conosceva affatto” dice Kluter, ridendo e scuotendo la desta dal divertimento.

Da quei primi incontri i Cleveland Boys hanno visto più di cento concerti di Springsteen. Alla fine degli anni ’70 passarono un intero mese sul suo tour bus percorrendo tutta la west coast. Al momento di suonare al Richfield Coliseum, siamo nell’agosto del ’78, tra Bruce ed i Cleveland Boys è ormai nato un forte legame e dopo un rauco concerto estivo, lo trascinano via di peso e lo portano ad un party privato. Racconta Kluter “Eravamo fuori dal Coliseum e lui stava per salire sul bus che l’avrebbe portato allo Swingo’s Hotel in centro Cleveland. Gli dico ‘Perché non vieni con noi a berti una birra ?’ Lui guarda il bus …. e guarda noi ……e dice ‘OK!’ e sale sulla nostra auto.”

“Stavo guidando io”, racconta Kluter, “e…. esco di strada sulla Black Road andando a sbattere contro un albero. Per fortuna nessuno si fa male. Gli altri amici che ci stavano seguendo ci raccolgono, ci aiutano a rimettere l’auto sulla strada e ripartiamo verso la nostra meta: il Royal Knight, una birreria sulla State Park a Parma (OH).”

Il locale era il punto di ritrovo dei Cleveland Boys ed era ideale per Bruce che desiderava evitare la folla. C’erano circa otto persone quando entrarono e si sedettero in fondo al locale. “Non c’era nessuno” dice Kluter ” e Bruce ordina qualcosa da bere e mangiare. Ad un certo punto la gente, che l’ha riconosciuto, inizia a telefonare agli amici e nello spazio di un’ora il bar è pieno”.

Springsteen avrebbe voluto una situazione più tranquilla, ma si lascia andare e, ad un certo punto, accetta addirittura di autografare una parete del bagno delle donne. Dopo tre ore di vera allegria era purtroppo arrivato il momento di tornare in albergo. Bruce sale sul furgone Malibu con Kluter e Juhasz e inseriscono una cassetta nell’autoradio.

Visto che Springsteen ha sempre autorizzato i Cleveland Boys a collegarsi al suo impianto e registrare i concerti, possedevano già una quantità di registrazioni che nessuno aveva mai sentito. Anche Springsteen non aveva mai ascoltato quella cassetta.”e Spirit in the night stava girando in quel momento”, ricorda Kluter “e Bruce dice ‘Jim, questa si sente dannatamente bene!’ Stavamo percorrendo la 77 e lui si sporge dal finestrine della mio furgone e inizia a cantare a squarciagola Spirit in the night!”

Quando il gruppo di pazzi arriva all’hotel era circa l’una e trenta di notte e Miami Steve, nota subito che Bruce è parecchio “fuori di testa”. Si avvicina a Kluter e gli dice “Lascia che dica qualcosa. Senza di lui non ho un lavoro, E’ il mio mezzo di sostentamento. Senza Bruce Springsteen non esiste nessuna E Street Band, Jim!”. “Capisco cosa vuoi dire, Steve, scusa”, gli rispondo io.

Come facciamo ad essere sicuri che tutto questo sia vero ? Se ne dubitate, non avete visto Springsteen uscire dalla sala della University of Akrons dopo il concerto acustico del 1996, quando riconoscendo Kluter, gli si avvicina e immediatamente lo avvolge in un caloroso abbraccio fraterno.

Rimasero tutti di sasso, compreso gli uomini della security che avevano respinto Kluter quando ha provato ad andare nel backstage. Chi era questo tipo che era un attimo fa era in frenetica attesa insieme agli altri fans ? Una persona normale, un ragazzo che ama divertirsi, come gli altri Cleveland Boys. Un uomo che deve lavorare duramente, per dirne una. Un uomo che ha avuto delle sfortune nella vita, ma sa che il sole torna quasi sempre. Un uomo, in altre parole, proprio come quelli che troviamo nelle canzoni di Springsteen.

Un membro del quartetto, Spratt, se ne è andato a sud tanto tempo fa e si sono perse le sue tracce. Mentre quanto riguarda gli altri tre:

a) Kluter, 50 anni, capelli pettinati all’indietro e dal comportamento fiero, ha lasciato il lavoro alla Pepsi dopo 5 anni e dal 1982 è diventato socio di un’impresa di pulizie, York Building Maintenance, a Cleveland

b) Juhasz, 48 anni, occhiali, capelli e baffi neri, ha passato gli ultimi 17 anni facendo il postino. Vive a Strongsville con la moglie Mary, che ha seguito molte delle avventure dei Cleveland Boys, ed è stata nominata, anche se non ufficialmente, Cleveland Girl.

c) Kusznier, 51 anni, occhi blu penetranti, testa rasata e barba tendente al grigio, guida ancora i furgoni della Pepsi, lavora a Twinsburg e vive a Parma (OH). Non è cresciuto di un centimetro ed è ancora “The Little Man” visto che Clarence “The Big Man” Clemons, il saxofonista della band, è il doppio di lui.

Oggi il rapporto tra i Cleveland Boys è praticamente lo stesso che tra Bruce ed i compagni della band. Dopo un lungo periodo di separazione si sono riuniti con passione.

Nel caso di Springsteen, dopo 10 anni che suona da solo o con musicisti sconosciuti, è ritornato per un glorioso tour mondiale con la vecchia E Street Band. Mentre per i Cleveland Boys, dopo 15 anni nell’ombra, si sono riuniti brevemente il mese scorso per il Beacon Journal. La separazione non fu causata da dissapori, ma si divisero unicamente per seguire le rispettive famiglie e i propri interessi che col tempo sono cambiati. Un po’ come successe a Springsteen.

La loro rimpatriata, durante un soleggiato pomeriggio estivo a casa di Kluter, merita sicuramente fantastici ricordi. In pochi minuti affiora subito l’affiatamento dei vecchi tempi. La conversazione viene spesso interrotta da grasse risate. La stanza diventa subito una bolgia.

Non c’è bisogno di dire che niente è cambiato. I Cleveland Boys stavano rivivendo un quarto di secolo della loro vita. Due dei loro tre licei, il Lincoln High (Kusznier) e il West High (Juhasz) di Cleveland, non esistono più da un pezzo. Guardano le loro vecchie foto e vedono dei ragazzini che hanno la metà dei loro anni. Tirano fuori vecchie magliette e si stupiscono che una volta riuscivano ad indossarle. I ricordi dei vecchi concerti hanno iniziato a mescolarsi e offuscarsi. La loro vita, come quella di Springsteen, è cambiata parecchio rispetti agli anni ’70. Ma questo non significa che lo stesso feeling non sia rimasto. Bruce ed Cleveland Boys sono ancora legati, come si è potuto vedere dopo il concerto di Akron. Ma restare in contatto è molto difficile. L’aumento della fama e dei guadagni di Springsteen ha fatto aumentare proporzionalmente la distanza tra lui e i suoi fans.

“Ci sono così tante barriere da superare adesso, che la maggior parte dei messaggi non gli vengono nemmeno recapitati”, dice Kluter, “talvolta è così difficile che ho smesso di prendermela”.

Altre cose sono cambiate. Quando l’anno scorso Juhasz tornò a visitare il lungomare di Asbury Park, “il posto sembrava Sarajevo”, racconta. E il jersey boy adesso vive principalmente a Los Angeles.

Ora con Springsteen diventato ufficialmente un’icona della Rock and Roll Hall of Fame e con i Cleveland Boys sempre delle persone normali, fanno fatica a credere quanto vicini fossero una volta. Così vicini da avere il suo numero di telefono di casa per chiamarlo solo per fare quattro chiacchiere. Così vicini da ricevere sempre biglietti in prima fila per qualsiasi concerto. Così vicini che una sera Bruce ha fatto una sorpresa a Juhasz, presentandosi al ristorante di Cleveland dove stava festeggiano il compleanno. Così vicini che un’altra sera, Springsteen e tutta la E Street Band, andarono a casa di Juhasz, parcheggiando il loro gigantesco tour bus proprio davanti al suo piccolo bungalow.

Da quando Bruce è diventato così famoso, fama che ha avuto il suo apice durante il delirio di massa del 1985, queste storie sembrano quelle dei pescatori della domenica. “Ho smesso di raccontarle in giro” dice Kluter, “la gente non mi crede”.

Credeteci. Guardate le vecchie foto di Springsteen che viene portato in giro sulle spalle di Juhasz, foto prese durante il periodo quando Bruce saltava tra il pubblico a metà concerto. Al Coliseum, venne portato sulla spalle di Juhasz fino alla quindicesima file e riportato sul palco sulle spalle di Kluter. La scena sembrava veramente spontanea e improvvisata, ma come per i migliori attori era stata studiata a tavolino. Springsteen lascia poco al caso.

“Si dedica tutto al lavoro”, dice Kluter. “Alcuni cantanti fanno soundcheck di cinque minuti, i suoi duravano quattro ore. Camminava tra i posti peggiori per essere sicuro che fossero ok”.

L’atmosfera nel backstage era simile ad un normale posto di lavoro. Nessuna sostanza stupefacente, nessuna faccia strana o loschi figuri.

Durante la pausa delle tre ore e mezza di maratona rock, quando i Cleveland Boys andavano nel backstage a riposarsi ed a mangiare le stesse cose del Boss, vedevano un lavoratore esausto a metà della rinascita. “Arrivava nel backstage e si spogliava eccetto per una specie di sospensorio, si sedeva dentro questo secchio pieno di ghiaccio” racconta Kluter ” e si bagnava completamente. Poi si asciugava e si infilavo un nuovo paio di jeans e una nuova maglietta e riprendeva a cantare e suonare per altre due ore”.

Springsteen non si sentiva a proprio agio con il lusso che gli permetteva la celebrità. Preferiva noleggiare un’auto piuttosto che usare le limousine che gli venivano messe a disposizione. Kusznier racconta di una notte a New York quando una casa discografica inviò una limousine a casa di Springsteen e lui immediatamente la mise a disposizione dei Cleveland Boys.

“Il punto era capire cosa rendeva così efficace la sua musica”, dice Kluter, “Parla all’uomo della strada. Si riferisce a me e sono sicuro che si riferisce anche a te. Mentalmente mi ha risolto più di un problema”. Ascolta la musica e la vita ritorna semplice. Fai quello che devi fare, non è così complicato. Non farla sembrare peggiore di quello che è. Fai del tuo meglio. Praticamente, dice Springsteen, se puoi guardarti allo specchio, amico, allora sei OK.

Un paio di Cleveland Boys occasionalmente viaggiano ancora per vedere il Boss (Kluter ha in previsione di assistere ad un concerto a Chicago) e cercano sempre di non perdere quelli che si tengono dalle loro parti. Kluter e Juhasz hanno passato 45 minuti con lui nel 1996 dopo il concerto acustico alla Music Hall di Cleveland. Continuano ad insistere che Springsteen è ancora lo stesso ragazzo e che non nasconde niente. E’ una persona così normale, fa notare Kluter, che talvolta scambia la sua timidezza con presunzione. Solo perché sei una rockstar non significa che devi essere estroverso o che devi far finta di essere quello che non sei.

Inoltre, come Kluter sa di persona, anche un introverso come Springsteen occasionalmente può lasciarsi andare. Quindi se vede un cinquantenne con i capelli scuri sporgersi dal finestrino di un’auto, non allarmatevi. Potrebbe essere Bruce che vuole sfogarsi.

Traduzione a cura di Francesco Magni
(Fonte originale: Akron Beacon Journal del 8 agosto 1999)

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