Gary U.S. Bonds: On The Line

di Marco Gioanola.

E grazie alla magia di Internet e nonostante Poste Italiane, mi è arrivato anche On The Line, il secondo disco (1982) di Gray U.S. Bonds targato dalla “Premiata ditta Bruce & Stevie” dopo Dedication di cui ho scritto giorni fa.

Me lo sono ascoltato con calma alcune volte, studiandomi ben bene le note di copertina sulla confezione del vinile facendo però attenzione a non farmi impressionare troppo dal tristissimo faccione del povero Gary che campeggia sul retro.

La mia impressione (mi faccio sempre questi film nella testa) è che dopo la buona riuscita di Dedication, visto forse come un esperimento, Bruce abbia deciso di buttarsi a capofitto nella produzione di questo disco (“Produced by Bruce Springsteen and Miami Steve”), e devo dire francamente che poteva andare meglio.

Gli ingredienti ci sono (quasi) tutti: si porta la E Street Band a registrare agli studi Power Station, si mettono Toby Scott e Chuck Plotkin alla console, cosa può andare storto?

“Ehi, ma dov’è La Bamba?” “no guarda, Steve, quelli sono amici tuoi, avevi detto che li chiamavi tu” “no no Bruce, stavolta hai detto che volevi fare il produttore, quindi tocca a te mettere insieme la sezione fiati” “no cioè ehm veramente, cioè ecco, no, io pensavo di farlo senza fiati questo disco” “ma sei sicuro Bruce? sicuro che invece non ti sei semplicemente dimenticato di avvertirli? gli arrangiamenti ce li ho qua pronti, se vuoi faccio due telefonate io e arrivano tutti, eh! però è l’ultima volta che ti faccio toccare un mixer” “no no lo facciamo senza fiati, oh abbiamo fatto The River senza fiati, e poi c’ho qua trecento canzoni già incise senza fiati che spaccano, quindi si fa un disco alla E Street Band! rock’n’roll!”

<Steve scrolla la testa>

“ehi non penserete che mi faccio di nuovo tutto il disco a massacrarmi i polmoni come la volta scorsa, eh!? stavolta sul contratto c’è scritto che faccio due solo e lo voglio anche scritto bello chiaro nelle note di copertina!” “no no certo, chiarissimo, sta tranquillo Clarence, ho pensato a tutto io, tranquillo ho tutto qua in mente… facciamo fare un sacco di solo a Danny, vero Stevie? diglielo anche tu, Stevie!” “ho capito… vado a fare un paio di telefonate…”

…E il piano “rifacciamo The River” viene messo in atto: parte HOLD ON, la Band sta carburando alla grande come al solito, Garry imperversa col suo dong-di-di-dong-di-di-dong, la voce di Bruce (non citato nelle note di copertina per volere della CBS, non saprei per quale ragione) è ben riconoscibile (e intanto Steve che pensa “eh bravo lui, fa i cori come se li avesse inventati lui, io è da dieci anni che faccio sta roba qua”), e insomma tutto fila liscio tranne per una cosa: ai fiati non è arrivato nessuno. Non ci sono. E si sente. Dedication era tutto incentrato sulla sezione fiati, e qua N O N C I S O N O. Delitto.

“ehi ragazzi sentite qua ce n’ho una fortissima” “sì bravo, ma scusa Bruce a me sembra un po’ troppo Hungry Heart” “Professòre non fare il saccente, è tutta diversa, dai poi senti il testo, cerco un lavoro, il blue collar e tutto il resto, dai, ti faccio anche la denuncia sociale, cosa vuoi di più?” “mah non saprei, a me sembrava… comunque dai, va bene, così so già come fare la mia parte.”
<Steve scrolla la testa>

La band mette il pilota automatico e parte OUT OF WORK. La rotta prevede il solo di Clarence e il piano di Roy, e vai che ci si diverte.

A mio parere, CLUB SOUL CITY, prima che il repertorio di Bruce iniziasse a essere infarcito di un po’ troppi “discendenti” di People Get Ready, era una delle vette del Bruce “soul man”. Il pezzo si adatta bene alla voce di Bonds, e viene ulteriormente arricchito dal supporto del vocione di Chuck Jackson. Come fa un pezzo a sembrare uscito dal repertorio dei Temptations e allo stesso tempo ricordare Streets Of Fire?

La magia di Bruce Springsteen & The E Street Band a cavallo dell’80, ecco come. Un superclassico, anche per il testo: “Non puoi sbagliarti, è lungo l’autostrada, e all’ingresso c’è un cartello che dice <Ingresso riservato ai perdenti>“. Club sooooooooul club soooooooul ciiiiiity yeah yeah yeah club soooooooul….

“senti Bruce, senti come ingrana, ora dò un colpo di telefono a Southside, che tanto lui un favore ce lo fa sempre, ok? trombone tromba e sax baritono, in mezz’ora sono qui, registriamo, li paghiamo e se ne ne tornano in spiaggia” “no, lascia stare, ho deciso che SOUL DEEP la facciamo senza fiati, non si discute. Hai sentito com’è venuta bene Lion’s Den? Faccio i cori io, che questa canzone mi prende da dio, vedrai viene una bomba.”

<Steve scrolla la testa>

Box Tops, 1969. Bonds ci sguazza, Bruce si diverte, noi pure. Ma diosanto, I FIATI dove sono!?!?!? Lion’s Den la registrano ma rimane nel cassetto.

Non sorprende che sia stata usata LOVE’S ON THE LINE come title-track. Probabilmente il pezzo migliore del disco, “made in brucespringsteenland” 100%, il testo su un amore che finisce, fatto di sguardi silenziosi la sera a tavola; se qualche anno prima un Bruce arrapatissimo scriveva “when I get home from my job I turn on the TV but I can’t keep my mind on the show”, ora siamo già dalle parti di Tunnel Of Love, e “chissà cosa fai a casa quando io esco”. Assolo di sax di Joey Stann dei Jukes. Solo la voce di Bruce che ripete “love’s on the line, line, love’s on the line” mentre Bonds canta l’ultimo verso vale il prezzo di tutto il disco. Applausi a scena aperta.

“ciao ragazzi, ho scritto un paio di pezzi per il disco, ve li faccio sentire, cosa ne pensi Steve?” “ma beh sì Gary, che dire, validi, validi… comunque abbiamo già tutti questi pezzi di Bruce belli e pronti, magari se ci mettiamo un po’ di fiati in più anche tu risalti meglio, eh che dici? dai diglielo anche tu a Bruce…” “Ma no Stevie, che dici, questi pezzi di Gary sono più tosti dei miei, forza ragazzi tutti ai propri posti, facciamo sentire a questa gente cosa sa fare la E Street Band! Danny mi raccomando, qua conto su di te!”

<Steve scrolla la testa>

TURN THE MUSIC DOWN, scritta di Bonds, è un rock’n’roll facile facile abbastanza in linea col resto dell’album, anche se forse gli manca quella scintilla in più per renderlo memorabile. L’organo viaggia su tutto il brano e tira le fila. Finisce il lato A, sipario. Tutto bello, bravi tutti, ma…

Si decide di aprire il lato B calando una briscola: RENDEZVOUS. Però Bonds non è Springsteen, e la canzone ne risente: non è nelle sue corde, tanto che dà il meglio solo nel bridge. Un pezzo così o me lo imbottisci di fiati, oppure ci va un cantante che canti *meno* bene di Bonds, per sfruttarne al massimo il lato rock.

ANGELYNE, sempre firmata Springsteen, è un rock’n’roll alla Darlington County, con sfumature country e il classico inizio a base di finta-gente-che-parla-in-sottofondo-a-una-festa che evidentemente quando sei in studio col cantante diQuarter To Three è obbligatorio. Steve canta questo duetto con Bonds facendo la parte che avrebbe dovuto essere di Bruce (rimosso, anche qui, per volere della CBS, a quanto pare), ma il marchio di fabbrica è ben impresso su tutto il pezzo: “She bought two tickets with her daddy’s American Express and hopped a Greyhound bus in her wedding dress”. Breve solo di fisarmonica.

ALL I NEED è un esperimento di lentaccio “pop” con la solita vena soul, che calza a pennello per Bonds, che tira fuori il “mestiere” e nobilita questo non eccelso pezzo di Bruce con un’interpretazione perfetta.

BRING HER BACK è l’altro pezzo di Bonds, sugli stessi binari di Turn The Music Down, onesto ma poco originale, si regge bene grazie al sax (sempre Stann) e ai cori di Bruce.

Il copione prevede un lentaccio per chiudere, e il copione va rispettato. Steve mette la monetina nella sua macchina per scrivere lenti strappalacrime ed esce LAST TIME, giuro, ne ha una a casa, è ricavata da un vecchio frigorifero anteguerra tutto scrostato e storto perché gli manca un piedino, c’è una piccola feritoia che accetta solamente centesimi fuori corso o bottoni usati, e uno sportellino da dove esce direttamente un disco 78 giri con la canzone già incisa; ci vuole una mezzoretta per un lentaccio nella media, durante la quale l’apparecchio ha, a volte, alcuni scossoni, e accostando l’orecchio c’è chi dice che si sentano dei singhiozzi provenienti dall’interno, o a volte qualcuno che mormora vecchie canzoni dell’era della Depressione. Altri sostengono che in realtà all’interno dell’ex-frigo ci sia Southside Johnny che incide i 78 giri, e che questo sia il prezzo che ha deciso di pagare a Steve in cambio di una carriera nella musica rock. “This is the last time, let’s make it the best time”, non esattamente Shakespeare, ma si va sul sicuro.

In sostanza, a mio parere, un album “troppo Bruce”, che risente della mancanza criminale di una sezione fiati e patisce una scaletta che per assurdo risulta più eterogenea del precedente Dedication, a causa di alcuni pezzi che poco si adattano a Gary U.S. Bonds.

 

Discography, Spare Parts

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