Qualcosa nella notte ad Albany

di Andrea Volpin.

Rosie, non sono diventato un fenomeno perché ho visto la mia foto sulla copertina del Times e di Newsweek. (Bruce Springsteen, 07/02/1977)

In queste parole Bruce Springsteen manda il suo chiaro segnale a tutto il mondo; in primis a Mike Appel, alla Columbia Records e a chi lo vorrebbe uomo da sei milioni di dollari prima che da sei milioni di dischi.

I fasti di Born To Run si sono misteriosamente scontrati con la realtà; una realtà molto più grande di quella immaginata da Bruce. L’orrendo biennio 1976-’77 si consuma sui palchi degli Stati Uniti dove si combatte una battaglia fatta di sudore e sofferenza e condotta da chi, sempre, porta alla fine la propria missione. Dall’altra parte si sta combattendo una guerra fatta di avvocati e leggi che stanno minando la solidità di quel guerriero; o almeno ci stanno provando. Intanto però, le porte dello studio di registrazione rimangono inesorabilmente sprangate.

Bruce, può solo esibirsi, e sa che deve farlo; tutto non può finire così. Nel suo carnet ci sono le canzoni di tre album che hanno conquistato il pubblico, la critica e nel suo cilindro magico ci sono pezzi inediti che devono soltanto attendere che l’incubo si concluda. Dall’altra parte del palco c’è tutto un mondo fatto di persone che credono nella sua parola e che devono sapere qual è la storia. Allora, fanculo i tribunali e le cause legali, là fuori c’è il cielo di Albany che quella notte s’illumina con il suono di un’acerba Something In The Night già carica di quello spirito umano di uno che sente di aver provato la sconfitta ma lo stesso cerca di uscire dal pantano anche se sembra non averne la forza. E poi è il momento di Randezvous, fino alla intimissima e sentita The Promise. Si chiude la sessione inedite con Action In The Street un bellissimo soul, dal profumo Jersey, rimasto – a torto – senza incisione.

Che bella l’epoca in cui, ad ogni concerto, si scopriva qualcosa di nuovo.

La sezione ‘vecchie’ contiene una versione di Jungleland dove Clarence s’immagina di essere la reincarnazione del pifferaio di Hamelin che, invece di guidare i topi nel fiume Wasser, incanta tutti con la magia del suo sax che accompagna le parole del ministro del Rock ‘N Roll giunto dall’altra parte dell’Hudson River. Di Rosalita basta quanto detto all’inizio ed è inutile dire quanto è bella Thunder Road introdotta dal piano del Professore che lascia il posto all’armonica di Bruce quasi come un passaggio di consegne. Growin’ Up occupa ben dieci minuti e passa perché è il momento di raccontare e di raccontarsi; quel periodo la canzone era un vero e proprio manifesto di come è nata la storia d’amore tra Bruce e la E-Street Band. È invece la storica cover di It’s My Life degli Animals che sottolinea quanto sia importante per Bruce avere la certezza di essere lui il padrone delle proprie idee ed essere unico responsabile delle proprie azioni. E poi si chiude con Born To Run, tanto per dire, anzi ribadire, quale sia ancora il sentiero da seguire.

Dietro a Bruce ci sono Clarence Clemons in forma olimpica, Steve VanZandt, Garry Tallent, Max Weinberg e Danny Federici che insieme a Roy Bittan danno sfoggio della loro potenza da fuoco che sembra non essere minimamente intaccata dagli attacchi esterni. Infine i fiati dei Miami Horns si fanno sentire come le sirene di una nave che non ha nessuna intenzione di arenarsi in una secca.

La costanza sarà premiata e, nonostante tutto, quella nave andrà avanti la sua navigazione verso il futuro, regalando gioia a ogni porto in cui è approdata.

Tutto il resto, come i lavori in post-produzione e la rimasterizzazione che ha cancellato di fatto il vociare del pubblico, sono dettagli tecnici di cui non ho competenze per parlarne. Così mi limito a dire che questo di Albany è un qualcosa da possedere, da comprendere da apprezzare e, soprattutto da capire a partire dalle parole con cui abbiamo iniziato.

Discography, Live, On Tour

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