Live In Stoccolma 1988

di Andrea Volpin.

Che non fosse una tournée come tutte le altre ormai lo abbiamo capito tutti; anche noi che siamo arrivati un po’ dopo quel periodo storico così importante e drammatico (dal punto di vista artistico). Non avrebbe potuto essere altrimenti dato che Tunnel Of Love, il disco fulcro del tour, non fu un disco come gli altri. Ed proprio il nuovo bootleg ufficiale (ossimoro dannatamente springsteeniano dell’ultimo periodo) che conferma quanto, il Tunnel Of Love Express Tour, si collochi in una dimensione che sembra ruotare attorno a quella ‘normale’, a volte ci si avvicina, a volte la sfiora fino a toccarla, senza mai perdere quella sua orbita tanto cara a quel preciso momento.

Live in Stoccolma è la riproposizione del concerto del 3 luglio del 1988 tenutosi allo Stadio Olimpico della capitale svedese da Bruce Springsteen e dalla E-Street Band. Trentacinque canzoni, suddivise in due CD, compongono una distinta di pezzi di assoluto valore – ma questa non è una novità – che sembrano un piatto tipico della cucina polinesiana. Se all’inizio il gusto è troppo spigoloso e poco facile al palato, man mano che i bocconi scendono si assapora tutta la libidine.

Chiariamo subito, il progetto è di assoluto valore, ma è fatto strano sentire la versione di Adam Raised a Cain del disco, distante anni luce quella clashiana di Live In Goteborg 1996, suonare uno strano rock che si discosta molto da quello di Darkness e soci per abbracciare un sound molto più Roy Orbison. D’altronde in quel preciso momento, Elvis, Dylan e James Brown, erano distanti anni luce dalla mente del Capo che, alla vigilia della decisione più difficile da prendere, sentiva la malinconia e il raziocinio di Roy molto più vicino al suo essere. Lo dimostra, io lo sostengo sempre, anche la versione acustica di Born To Run, scelta non a caso come stacco tra il prima e il dopo.

Ci sarebbe da stare qua mezz’ora a parlare, discutere; alcuni sarebbero favorevoli, altri contrari. Questo è il bello di essere fans di Bruce e questo è il discorso che solleva questo disco. Con lui e con la sua musica si ha la possibilità, sempre e comunque, di discutere, e spesso rivedere, quelle che noi riteniamo certezze. Certezze che, puntualmente, vengono screditate dallo stesso Capo sempre pronto, per voglia o per necessità, a stravolgere le carte con un arrangiamento che spiazza ma, tutto sommato, piace.

Tunnel è stato, credo, il vero crocevia della carriera di Bruce, perché oltre ad essere un album che se ne sta per gli affari suoi, ha chiuso e marcato in maniera netta il prima (molto più di Born In The USA) aprendo le porte al dopo. Già perché dopo quel fantomatico disco è stato tutto un altro modo di fare heartland tanto per usare un termine tanto caro ai ben più abili recensori dell’epoca. Il tour non poteva essere altrimenti; mi ricordo benissimo quando un mio caro amico mi raccontò la delusione provata dopo averlo visto uscire sul palco di Torino in tenuta da Platters dannatamente opposto a quanto fece nel 1985 a San Siro. Quella cosa la provai anch’io al primo ascolto di Tunnel Of Love, devo essere sincero. Quell’amico, che ancora ascolta Bruce, mi disse che lì finì la sua passione per il Capo anche se in cuor suo sapeva che non sarebbe stato così. Anche a me successe la stessa cosa.

Mai nessun altro nel panorama rock degli anni ‘70/’80 segnò così fortemente la sua carriera a costo di perdere fans e consensi; ma in quel momento era così. E meno male. Non mi resta che pigiare play al riproduttore e starmene in silenzi: live in Stoccolma sta per cominciare.

Buon ascolto.

Discography, Live, Tunnel of Love Express Tour

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