The Garden of Eden – Night One

di Andrea Boido

Una volta ho sognato il paradiso. Avrò avuto vent’anni. Me lo ricordo ancora perché il mio inconscio ebbe il merito di non accontentarsi della solita rappresentazione del paradiso fatta di nuvolette, santi barbuti con la tunica e gente con l’aureola, ma preferì virare verso lo sperimentale. Quello che sognai ero un luogo senza consistenza, abitato da ombre luminose che sapevi essere stati persone, ma che non ne avevano più le sembianze; erano piuttosto entità che emanavano luce e pace. Il paradiso che sognai era così: non un posto, ma una sensazione di pace assoluta.

Quello che ho visto fuori dal Madison Square Garden nel 2009 alla fine della seconda di due indescrivibili serate è la cosa che più si avvicina a quel sogno. Nel piazzale c’erano persone che si muovevano senza toccare terra ed emanavano una sensazione di quieta e assoluta pace. E non c’erano parole, perché nessuno riusciva a proferire verbo. Ho incontrato anche molti mailer, ci siamo guardati negli occhi e in quelli c’era lo specchio di come ci sentivamo, ma nessuno aveva nulla da dire. O meglio, non aveva nulla che riuscisse ad esprimere. Ci siamo guardati e quello è bastato per dire: sì, ho capito, sento la stessa cosa.

Ora dovrei e vorrei descrivere quelle due serate, ma l’impresa sembra ancora titanica. Come se nulla di quello che ho provato fosse riducibile in parole. Ed è così, infatti. Ci proverò lo stesso.

The Wild, the Innocent, and the E Street Shuffle Night

La descrizione più calzante per questo primo concerto non è mia, ma della mia futura moglie. Uno dei mille motivi che fanno di questa meravigliosa donna la mia anima gemella è la sua innata capacità di guardare il mondo con gli stessi occhi dell’Holden Caulfield di The Catcher in the Rye: non vede il primo e più ordinario aspetto della realtà, ma il suo significato nascosto in terza o quarta fila. E’ una di quelle rare persone che capisce benissimo che quando ti fanno un regalo, sotto sotto ti senti un po’ triste. Una di quelle persone che quando vedono il laghetto di Central Park non possono fare a meno di chiedersi che fine fanno le papere che vi sguazzano quando d’inverno quello specchio d’acqua diventa ghiacciato. Una di quelle persone per cui la realtà nel suo significato più evidente è terribilmente noiosa e che quindi riesce a leggere nel mondo ciò che sfugge a noi comuni mortali.

Grazie a questa dote, la mia Silvia è capace di uscirsene con frasi che definiscono perfettamente un momento che nessun altro è capace di descrivere. E di inchiodarlo al muro con tre semplice parole. Ed è così che nel bel mezzo dell’esecuzione di The Wild, the Innocent, and the E Street Shuffle si è voltata verso di me e ha detto: “questa è un’allucinazione”.

Non era un’iperbole, non era nemmeno una domanda gioiosamente ironica, ma una semplice, dovuta constatazione. Mi stava informando di un fatto di per sé evidente: quella era un’allucinazione. Non aveva nulla di reale, né di palpabile. Quello cui stavamo assistendo era stato fabbricato con la materia di cui sono fatti i sogni. Il Garden si era sollevato dalle sue storiche fondamenta ed ora fluttuava da qualche parte in un luogo che non esiste, tra l’isola che non c’è e il paese delle meraviglie. Noi eravamo lì, ma lì non era da nessuna parte.

Ho iniziato a sognare ben prima di ascoltare per la prima volta The Wild, the Innocent, and the E Street Shuffle. Ho sognato luoghi e persone che non c’erano sin da quando mi ricordo. Quel disco però diede un ordine e una cornice a tutta la mia fantasia. Parlava lo stesso linguaggio, diceva le stesse cose, ma lo faceva meglio. Conoscevo già Spanish Johnny, ma non sapevo che quello fosse il suo nome. Ero già stato mille volte in un posto come lo shore, ma ora quei luoghi avevano una consistenza. Non ero mai stato a New York, ma in fondo avevo sempre saputo come si doveva camminare per le sue strade. Quel disco mi dimostrò che al mondo c’era qualcuno che sognava nello stesso modo in cui lo facevo io. Una cosa che, a quattordici anni, mi diede un regalo unico e inestimabile: mi fece sentire meno solo.

Sono passati 25 anni e la mia fantasia non è più viva e invadente come a quel tempo; ma se voglio ricordare come sognavo allora, quale sapore e profumo avesse la mia fantasia, mi basta riascoltare quel disco. E’ tutto lì, incapsulato in sette canzoni e lo sarà per sempre.

Essere presente all’esecuzione di Wild & Innocent ha avuto quel sapore e quel profumo, ma anche una strana forma di evanescente concretezza che solo i sogni possono avere. E’ stato come entrare in un luogo che dovrebbe essere negato ai mortali. L’unico modo che ho per descriverlo è questo: avete presente quel meraviglioso pezzo di Incident: “Johnny was sittin’ on the fire escape watchin’ the kids playin’ down the street”? E’ un passaggio fantastico, c’è tutto il talento di scrivere in maniera cinematografica che aveva lo Springsteen di quegli anni. Vedere quella scena non è solo semplice, è inevitabile. Ma quella sera non si trattava solo di vederla; quella sera era come essere all’angolo di quella strada. Alzavi lo sguardo e vedevi Spanish Johnny sulla scala antincendio, lo abbassavi e vedevi i ragazzi.

Avresti potuto anche parlarci, avresti potuto abbracciarli. Eri lì, con loro. Eri sullo shore mentre un ragazzo diceva addio a Sandy. E poi eri al circo, e accanto a Catlong che singhiozzava e sotto la finestra di Rosie e sulla Cadillac con Billy. Eri parte del contorno in cui si muovono i personaggi di un’opera d’arte e ballavi, camminavi, soffrivi e ridevi con loro.

Ora, io potrei anche continuare e raccontarvi di come Bruce abbia incastonato quelle sette gemme sul palco, una dopo l’altra. Potrei parlarvi di come la sezione fiati ha fatto saltare il tetto del Garden su Kitty’s Back o di come la sezione d’archi abbia portato New York City Serenade fino ad un livello di bellezza francamente insostenibile. Potrei dirvi e raccontarvi di quell’infinito, meraviglioso assolo alla fine di Incident, o del passaggio tra questa e Rosalita. Potrei descrivere tanto e alla fine non dirvi niente. Sarebbero solo fatti, e quella sera si è andati ben oltre.

Una volta chiesero a Foreman se Muhammad Ali fosse il più grande pugile di tutti i tempi. Lui rispose secco: “No. Lui era più grande della boxe”. L’esecuzione di The Wild, The Innocent and the E Street Shuffle è stata più grande della musica.

07.11.09 Madison Square Garden – New York
Thundercrack (con Curt Ramm) – Seeds – Prove It All Night – Hungry Heart – Working on a Dream – The E Street Shuffle (con Curt Ramm & horns) – 4th of July, Asbury Park (Sandy) – Kitty’s Back (con Curt Ramm & horns) – Wil Billy’s Circus Story – Incident on 57th Street – Rosalita (Come Out Tonight) – New York City Serenade (con Richard Blackwell, The Sam Bardfeld Strings) – Waitin’ on a Sunny Day – Raise Your Hand (con Curt Ramm) – Does This Bus Stop at 82nd Street? – Glory Days – Human Touch – Lonesome Day – The Rising – Born to Run – Wrecking Ball (con Curt Ramm) – Bobby Jean – American Land (con Curt Ramm e Sam Bardfeld) – Dancing in the Dark – Higher and Higher (con Elvis Costello, Richard Blackwell, Curt Ramm & horns)

The Garden of Eden – Night Two continua…

Live, Working on a Dream Tour

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