Letter To You: Lettera alla vecchia America springsteeniana

di Dario Greco

Bruce Springsteen torna a casa e si trasforma nel postino alla ricerca del tempo perduto. 

Dopo il tredicesimo ascolto in poco più di un mese abbiamo finalmente tratto le nostre considerazioni sul ventesimo lavoro in studio del Nostro amato Bruce Springsteen. Dato che questo blog trae ispirazione proprio dal primo periodo della produzione springsteeniana, ci è sembrato doveroso parlare di questo Letter To You, un disco che già dalle prime battute si era mostrato attinente e legato proprio a quell’epoca, a quelle produzioni di inizio anni settanta, quando il giovane Bruce faceva capolino sulla scena musicale statunitense, dando alle stampe i suoi primi lavori in un lasso di tempo ridotto. Lo stesso Modus operandi con cui negli anni novanta era tornato a pubblicare Human Touch e Lucky Town (dischi erroneamente considerati da pubblico e critica “gemelli”, mentre in realtà riflettevano due visioni e due stati d’animo speculari e diametralmente opposti). 

Le due anime di Springsteen sono più volte tornate nei suoi dischi, a volte convivendo in modo coeso e coerente, a volte dando l’impressione di una ispirazione parziale, poco meditata e mal prodotta. Ma non è così! Se c’è una qualità che bisogna riconoscere al Nostro è proprio quella di saper lavorare in studio, di essere diligente, volitivo, impegnato. Proprio come uno dei suoi maestri e fonte di ispirazione: John Fogerty. E’ stato detto che Fogerty fosse ossessionato dalla Top 40. Forse è vero, forse no. Springsteen è ossessionato dal lavoro, dal rendere al meglio la propria visione musicale e artistica. Durante gli ultimi tempi forse questa vocazione è in parte mancata. Eppure, se l’uomo è fallace, non lo è di certo il genio creativo.

Ed è un Marcel Proust dei nostri e soprattutto dei suoi tempi. Tempi di rock and roll. Ci sono tanti ricordi, tanti rimandi al passato, ma soprattutto al centro ci sono gli uomini e le donne che hanno calcato le scene per quasi cinquant’anni, forse qualcosa in più, a ben vedere. Prima delle canzoni, che sono lo strumento a cui il Postino Springsteen si affida, ci sono i suoni, le consegne da mantenere. In pratica è un ritorno a casa in puro stile E Street Band. Ripesca addirittura due brani del periodo Before the Fame. Si tratta di canzoni che in un modo o nell’altro conoscevamo già a menadito. Ci troviamo di fronte a ciò che Stefano Pistolini definisce urgenza della nostalgia, un sentimento che ciclicamente colpisce chi è insoddisfatto, malato o semplicemente inguaribilmente Romantico.

Bruce Springsteen qui sembra essere tutte queste cose assieme. Del resto è stato lui stesso qualche tempo fa ad affermare: “Fate rumore! Aprite le orecchie e aprite il cuore. Non prendetevi troppo seriamente e prendetevi seriamente come si prende seriamente la morte. Non preoccupatevi. Abbiate confidenza in voi, ma anche il dubbio. Vi terrà svegli e aperti. Siate capaci di mantenere due ideali contraddittori allo stesso tempo dentro al vostro cuore e alla vostra testa. Se non vi farà impazzire, vi renderà più forti. E rimanete forti, affamati e vivi”.

Rimanere forti, affamati e vivi. Non sappiamo quanto sia vero tutto questo oggi, ma la cosa più importante, quella che rimane, è la musica, sono queste nove canzoni nuove più le tre ripescate. 

Queste dodici cartoline che dal New Jersey giungono nelle nostre case, nelle nostre auto e soprattutto nei nostri dispositivi mobili. Del resto per qualcuno di noi Springsteen ha sempre avuto la dimensione portatile di una musicassetta infilata probabilmente in un Walkman Sony. Oggi potrebbe essere uno smartphone piuttosto che un iPod, ma fa davvero poca differenza. A noi questo lavoro ha ricordato e riportato agli anni novanta, quando in un freddo mattino di gennaio si andava a scuola e nella piastra girava Tracks volume 4. Gli anni novanta sono tornati, gli anni novanta non sono mai andati via, per noi nostalgici del Boss. Sarà un romanticismo un po’ forzato, sopra le righe, ma di questi tempi non è certo il peggio.

Bruce Springsteen il Capo dei Postini è tornato. Potete dirlo forte, ragazzi, suonando maledettamente forte! Le tracce come spesso avviene con un concept album, seppur imperfetto come questo, vanno soppesate e valutate nel suo insieme. Perché se è vero che solo alcune hanno la forza, il respiro e il fuoco delle sue vecchie produzioni, bisogna ancora capire quale uomo prima e quale artista poi, le ha messe assieme. Si tratta per citare Springsteen del Last Man Standingcioè il sopravvissuto, il reduce.

Ancora una volta in piedi. Sembra quasi una citazione a un vecchio album rock di Ligabue, ma non è così. Forse non è un disco con un passo audace come lo era stato The Rising, e non c’è nemmeno il miglior autore ispirato di Devils and Dust, ma quello che preme oggi al cantautore americano è rimarcare la propria presenza nella terra della speranza e dei sogni. Se vi pare poco, il problema non è certo dell’autore, ma di chi non ha tempo e forse voglia di ascoltare e leggere tra le righe che il Grande Romanzo Americano ha ancora un capitolo da svelare. Solo per chi ha orecchie buone e per chi vuole struggersi. Il compito di un disco è questo, nella migliore delle ipotesi. Bruce Springsteen è tornato a proporre la sua musica con la E Street Band ed è già una notizia sufficiente, questa, in tempi di magra come quelli che stiamo vivendo e attraversando. 

E Letter To You è la lettera di Bruce Springsteen a quella vecchia America che non c’è più. 

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