Molto difficile, ma necessario

di Alberto Calandriello.

13 aprile1996 – 13 aprile 2021

25 anni fa, stavo preparandomi a vedere il mio primo concerto di Bruce Springsteen; acustico, solitario, intimo, al Teatro Carlo Felice di Genova. I precedenti erano volati via. 1985? Troppo piccolo. Giugno 1988? Troppo male a scuola. Settembre 1988? Troppi esami di riparazione. 1992-1993? Troppa poca E Street Band.

The Ghost of Tom Joad era arrivato nella mia vita quando per la prima volta non dico che avessi trovato una direzione, ma quantomeno mi sembrava iniziasse a definirsi una strada per crescere; la scuola per assistenti sociali mi dava soddisfazione, i voti erano buoni, gli esami passati si accumulavano, forse alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” piano piano stava arrivando una risposta.

E Bruce, ora lo vedo in maniera più nitida, era arrivato a parlarmi di emarginati, sfruttati, poveri, ultimi, era andato a riprendere dalla letteratura e dal cinema un personaggio come Tom Joad che sembrava indicarmi in modo ancora più chiaro la strada da percorrere. “Dovunque si combatte per uno spazio di dignità per un lavoro decente, una mano d’aiuto dovunque qualcuno lotta per essere libero guardali negli occhi e vedrai me”.

Parole che ancora oggi, dopo più di 25 anni dalla prima volta che le ascoltai, mi fanno rizzare i peli sulle braccia e mi portano ad un immediato esame di coscienza.

Arrivato il tour acustico mi ero messo il cuore in pace, concerti in teatri dalla capienza ovviamente minima, tra cui quel gioiello genovese del Carlo Felice. Figurarsi, il Carlo Felice che ci staranno 15 persone, figurarsi se trovo i biglietti. Non ci provai nemmeno, onestamente non ero stato molto attento a notizie di prevendite e orari, quindi seppi dei concerti e quasi in contemporanea dell’inevitabile sold out; e pensare, che rabbia, che all’epoca in settimana vivevo proprio a Genova.

Tornato a casa dall’università, il venerdì, incontrai una coppia di amici che “sai domani andiamo a vedere Bruce a Genova abbiamo preso i biglietti facili dalla Marisa”. Come dalla Marisa?

La Marisa era la titolare del negozio di dischi in centro storico, quella che qualunque cosa tu le chiedessi, le sarebbe arrivata giovedì. Gruppi famosi o emergenti? Giovedì. Gruppi inventati? Giovedì.

La Marisa aveva i biglietti per Bruce ed io non lo avevo saputo, perché mentre la Marisa aveva i biglietti per Bruce a Genova, il Cala era a Genova. Tu pensa a volte, la sfiga. Tu pensa a volte, la blasfemia.

Nemmeno il tempo di tirar giù qualche cherubino, che il mondo compì una rotazione su sé stesso allineando tutti i pianeti in una botta di culo che mai più mi si ripresenterà.

“Sai doveva venire anche S col fidanzato, ma lui ha avuto un incidente in moto così abbiamo due biglietti in più”.

Attorniato da suoni di campane e cavalli alati in volo intorno a noi, avevo compiuto in 17 minuti un percorso di circa 21 km per passare da S, dirle che “guarda ho saputo, mi spiace tantahahahahahahahahahahaha ma se vuoi il biglietto lo prendo io”, andare dalla Marisa, cercare i documenti, tornare dalla Marisa, assistere stupefatto alla scena della coppia di amici che trasforma l’acqua in vino per l’aperitivo, firmare per la donazione di qualunque organo a loro favore, vederli camminare sulle acque del fiume Centa e tornare dalla Marisa ONCE AGAIN per mandare il fax, anzi IL fax.

Il fax era necessario mandarlo perché il biglietto era nominale quindi bisognava che facessimo sapere al MANAGEMENT che al posto di S ci sarebbe stato A. IL fax quindi era composto da: fotocopia biglietto, fotocopia carta di identità di S, fotocopia carta di identità di A oh no cazzo è scaduta allora fotocopia patente di A, dichiarazione di S che confermava il cambio biglietto, estratto conto, esami del sangue, lista della spesa pasta riso olio pelati sgrassatore quello buono, smalto per le unghie, salvaslip e breve tesina sul capitalismo in Ungheria.

Sembrava tutto a posto, quindi potevo andare a dormire sereno ed euforico per la botta di culo capitatami, senza però dimenticare di rivolgere un pensiero affettuoso a S e soprattutto al suo fidanzato di allora, che tanto poi si sono lasciati quindi che cazzo mi frega, sfigato di merda.

Il sabato pomeriggio ci siamo visti ai giardinetti, che fa molto gita delle medie, perché l’onestissima organizzazione italiana prevedeva per un sovrapprezzo pari solo al 100% rispetto al costo del biglietto un comodo pullman OBBLIGATORIO che ci avrebbe condotto di fronte al teatro. Alla guida Gennaro U’curtu, assistente pilota Totò lo shcannacrishtiani, capo-coro durante il tragitto Salvo detto Minchia di ferru, ditta organizzatrice Riina Travel.

Ma attenzione, perché ai giardinetti, in tutto il loro fascino trascendente apparirono loro: il Bello ed il Cantautore; il Bello ed il Cantautore erano due ragazzi di Albenga, più grandi di noi, facenti parte della compagnia più grande ed invidiata di Albenga, quelli che erano i più fighi, avevano le ragazze più fighe, andavano nei locali più fighi.

Il Bello ed il Cantautore avevano i biglietti per Bruce, ovvio.

E si sa che in certe occasioni si diventa più amici. E si sa che quando mancano i cavalli trottano anche gli asini. E si sa che pecunia non olet. E poi ho finito i proverbi.

Quindi il Bello ed il Cantautore, giovani, belli, spavaldi e ribelli ci dicono: andiamo in macchina, venite? Già dal primo concerto di Bruce imparai quindi che per lui non si finisce mai di spendere soldi ad minchiam quindi butta via la cinquantamila lire del pullman e parti in macchina, in 5 che si risparmia, verso Genova.

Arriviamo in Piazza De Ferrari e subito capii che nell’ambiente degli springsteeniani ero destinato a recitare un ruolo di prestigio: il cretino rompicoglioni. Perché mi avvicino alla biglietteria e dico “ciao ieri ho mandato un fax per cambiar” che il tizio alla cassa a voce alta, senza guardarmi e tirando su col naso in segno di disprezzo, mi interrompe e fa RAGAZZI È ARRIVATO QUELLO DEL FAX.

Poi tira fuori da sotto la cassa quello che a prima vista mi sembrò un telo mare, ma che si rivelò essere IL MIO FAX.

Ora dovrei essere serio o quantomeno raccontare del concerto seriamente. Ma a 25 anni di distanza preferisco ricordare le emozioni che quel ventiquattrenne provò nel realizzare un sogno che coltivava almeno da 10 anni, da quando Babbo Natale gli fece trovare il cofanetto live sotto l’albero. Oggi forse appare esagerato, vedere un concerto è più semplice e meno sofferto, ma quel giorno, quel pomeriggio dove al di là dell’ironia mi capitò questa fortuna, mi sembrava di aver raggiunto un obiettivo enorme. Dovevo avere una luce particolare negli occhi, perché diversi amici tra il venerdì sera ed il sabato risero di me e con me, davanti al mio entusiasmo.

In quel weekend forse capii come la mia vita fosse collegata strettamente alla musica e, in particolare all’epoca, alla sua musica. Avevo una vita fatta di studio, amici, la partita del sabato, la fidanzata; però la musica apriva altre porte, mostrava altri percorsi, che ho solo intravisto, che ho guardato mentre venivano intrapresi da altri, ma che nel bene e nel male hanno contribuito a fare di me la persona che sono. 25 anni fa avevo idee ed ideali, passioni, debolezze, tanti difetti, diversi da quelli di oggi. Bruce era più di una colonna sonora, era un manuale delle istruzioni, che forse dovevo ancora imparare ad usare.

Quando entrai in teatro fu come passare un confine: le cassette, i primi cd, gli ultimi vinili che avevo consumato diventavano reali, ero a pochi metri dalla persona che cantava dentro lo stereo dei miei, che mi emozionava attraverso cassette bootleg inascoltabili, che da così lontano sembrava mi parlasse all’orecchio ed ora era lì, su quel palco, a chiedere di fare silenzio, a scherzare in italiano che “uomo-donna, amore-sesso, molto difficile, ma necessario”.

Il Teatro Carlo Felice è di una bellezza abbagliante e nonostante quella sera avessimo i biglietti dell’ultimissima fila in alto, mi sembrò di entrare ad un incontro tra pochi intimi, una specie di gruppo ristretto di amici, ai quali confidare le cose più personali, un invito a cena.

Era così REALE, era così VERO che per assurdo facevo fatica a crederci; per me fu una roba devastante, fu come andare in orbita e capire che tutte le cose immaginate e sognate erano tangibili, al punto che ancora oggi fanno parte integrante della mia vita, occupando uno spazio rilevante, forse troppo.

25 anni fa, ai giardinetti, mentre decidevamo di andare in macchina, Davide (il Cantautore) si girò da me e mi disse “è la prima volta che vedi Bruce dal vivo?” “si” “guarda che quando inizi poi non smetti più”.

25 anni che hanno portato cambiamenti, crescita, nascite, lutti, che mi hanno reso marito e padre, che mi hanno spinto per gioco a provare a fare parte di un certo mondo non solo da sotto il palco, che mi hanno portato a credere che alla fine ognuno di noi ha una città dei perdenti dalla quale deve provare ad andarsene, se vuole vincere.

Alla fine, in un flash, come un lampo improvviso, tutto questo mi venne rivelato per un attimo in quella sera primaverile, quando verso la fine del concerto vidi una manica di scalmanati correre sotto il palco e a pugni tesi urlare con lui “tieni duro, resta affamato, sopravvivi!”

È molto difficile, ma necessario e più o meno ci sto provando, da 25 anni.

Live, The Ghost of Tom Joad Tour

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