Pillola 6: Jungleland (1975)

di Dario Greco.

C’è questa “Soft Summer Rain” che fa da proscenio per una spettacolare battaglia tra la realtà e la fantasia. C’è una band schierata come una gioiosa e furiosa macchina da guerra. C’è un assolo di sax che vale una carriera e un disco.

Jungleland è un racconto teso, vibrante, capace al contempo di riprendere atmosfere e temi cari a Martin Scorsese e che saranno mandati a memoria da Walter Hill in almeno un paio di occasioni. In piena resa incondizionata da Saigon, Springsteen sembra quasi citare quello che è stato il “nemico” per gli States e per la sua sfortunata generazione. Come diceva Ho Chi Minh infatti: “Bisogna armare d’acciaio i canti del nostro tempo. Anche i poeti imparino a combattere”.

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Springsteen mette in scena una battaglia degna di un fumettone sgangherato ed esagerato anni settanta. La sua potenza poetica sta tanto nelle parole quanto nella tessitura sonora di questa operetta rock. È teatrale nel senso più nobile del termine, spettacolare e immaginifico quello che ascoltiamo e vediamo.

Mastodontica e didattica lezione di rock da bar impartita dal suo autore che qui viene sostenuto in modo evidente dai suoi sodali. Impossibile prescindere dalle note del piano di Bittan, dalla batteria tempestiva di Weinberg, ma soprattutto dalle scudisciate della chitarra dello stesso Springsteen, il brano arriva a giro di boa, nella versione studio, sospeso tra archi e corde, ma a un certo punto lascia il ruolo di protagonista al sax di Big Man Clarence Clemons.

Non è accreditato nell’arrangiamento e può anche starci, ma provate a pensare se Springsteen non si fosse imbattuto in questo colosso dal sorriso sornione. Avremmo avuto questa esecuzione e quindi questo break sonoro che funge al contempo da climax. In quelle note di sax c’è dentro un’idea di comunità, di identità sonora e di biglietto di presentazione. Il grande pubblico non ha ancora scoperto Bruce Springsteen e sarà proprio il passaparola e la magniloquenza di questa epica chiusura a fare del disco Born To Run quel capolavoro che tutti ora ben conosciamo e ascoltiamo. In una calda dolce estate maledetta due ragazzi fanno un patto di sangue. La loro amicizia durerà per sempre.

All’epoca i fan di Springsteen pensavano fosse una grande epica suite di dieci minuti. Adesso, 45 anni dopo si conosce la realtà dei fatti (e dei patti). Il legame di unione che Springsteen stabiliva con la sua comunità, non può essere spezzato. Non questa notte, non se siamo pronti a scendere in strada e a batterci in una battaglia spirituale, da combattere a colpi di rullante, sassofono e Telecaster. Fuori la strada è in fiamme in un vero carosello di morte, tra ciò che è reale e ciò che è fantasia. E i poeti quaggiù non scrivono niente di tutto questo, stanno solo alla larga e lasciano che tutto sia. E nel pieno della notte giunge il loro momento e cercano di fare un’onesta figura. Si ritrovano feriti, nemmeno morti, stanotte nella Jungleland.

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