The Promise: realtà vs fiction

di Dario Greco.

“Ho avuto una grossa vincita e ho battuto la costa, ma in qualche modo ne ho pagato il duro prezzo. Dentro mi sentivo come se stessi trascinando le anime spezzate di tutti quelli che avevano perso. Quando la promessa è spezzata continui a vivere, ma ti occorre qualcosa che ti venga dall’anima. Come quando viene detta la verità e non fa alcuna differenza, ma qualcosa nel tuo cuore si raffredda” (The Promise) 

C’è stata una svolta nella carriera di Bruce Springsteen che coincide con la composizione di un brano in particolare. Questo pezzo risponde al nome di The Promise. Con il senno di poi è facile intuire perché il brano, seppur notevole, venga lasciato da parte per lunghissimo tempo. Ci vorrà infatti la pubblicazione del cofanetto Tracks per vederlo pubblicato su 18 Tracks, la versione disco singolo che contiene un’ideale best of con l’aggiunta di ulteriori brani inediti. Non sentiamo però la versione full band, ma una solitaria, piano e voce. Basta e avanza. Questo è uno di quei brani per cui qualsiasi artista (tranne forse Bob Dylan) farebbe carte false per scrivere e registrare. Non tanto per il suo potenziale commerciale, ma perché è un pezzo che fa curriculum, una canzone che rimane, per così dire. Ed è davvero un momento cruciale per Springsteen, tanto a livello personale quanto in termini professionali. Ci sono buone e cattive notizie, ma sulle prime sono quelle negative a tenere banco. L’autore però ne uscirà più consapevole, determinato e corazzato, ammesso che ne avesse bisogno. Springsteen, piaccia o meno, è uno dei più cazzuti autori di canzoni, appena dopo Bob Dylan e Neil Young, forse. Eppure come dice lui stesso il gioco a volte cambia e cambia anche il terreno in cui stai giocando. Quando la promessa viene spezzata continui forse a vivere, ma un po’ dei tuoi preziosi sogni vanno a farsi benedire! Meglio adeguarsi e fare buon viso a cattivo gioco? Forse sì. 

Il prezzo della fama e del successo si paga. The price You Pay, come canterà lo stesso Springsteen sempre più consapevole in The River. Come disse in una intervista del 1978, ci sono cose che ti fanno pensare ad altro, che ti allontanato da tutto quello che è autentico, dalle tue motivazioni iniziali, dalle cose per le quali hai iniziato a fare ciò che fai. Io sapevo cosa stavo perdendo, che cosa mi stava sfuggendo di mano. Il controllo della mia carriera artistica e professionale? Forse, ma sapevo bene perché avevo iniziato e sapevo che stavo perdendo quelle motivazioni e la cosa mi spaventava un po’. Perché ci sono un sacco di persone che vagano, sperdute nelle loro vite. Rimbalzano sui muri, sugli altri, su lavori differenti. Ma poi arrivi a 57 anni senza aver mai trovato qualcosa che ti piaceva davvero fare, quello che ti sarebbe piaciuto essere. Sotto certi punti di vista il lost album che avrebbe dovuto contenere The Promise doveva essere uno spartiacque, facendo da linea di demarcazione tra il racconto epico e suggestivo di Born To Run e il lucido verismo da film in bianco e nero, crudo e disperato di Darkness on the Edge of Town. Chi può dirlo? Cambiamento radicale o meno, per Springsteen Darkness è una continuazione del viaggio, seppur distante a livello cronologico, rispetto a dove avevamo lasciato i protagonisti di Jungleland. Un percorso onesto e a suo modo lineare. Come sappiamo i toni diventeranno più cupi in Nebraska, mentre in The River che lo segue di due anni abbiamo l’impressione che il flusso vada in più direzioni, in base alle correnti, agli stati d’animo e al trasporto. E’ un po’ come nel rafting, per così dire.

Come scrivere qualcosa di reale che sia al contempo efficace senza perdere quel tocco di immediatezza per renderlo grande e duraturo? Sembra essere questa la domanda di un autore che per lunghissimo tempo non ha sbagliato un colpo, usando probabilmente la severa arte del cestinare tutto quello che il suo istinto gli dicevano non fosse adatto. Qualcosa si è perso per strada, qualcos’altro è stato ritrovato, nel tempo o nei prestiti. Gli esempi con Springsteen non mancano, eppure ho l’impressione che l’esclusione di un brano come The Promise, scrittura asciutta, perfettamente tesa e lineare, abbia un significato preciso e simbolico. La lezione va impartita e memorizzata nel tempo e per il tempo. Realtà contro finzione? Autore contro interprete. Springsteen nei primi anni di attività discografica metterà su nastro solo quello che riterrà giusto incidere e pubblicare, cosa che ogni artista onesto dovrebbe sempre fare, si spera. Questo è il mio punto di vista, questo è quello che penso, su Bruce Springsteen, sul rock and roll e su The Promise. 

“Nei primi anni della mia carriera mi ritrovavo in ogni momento a scrivere di me. E’ un modo come un altro per capire cosa c’è dietro quel me. E’ per questo che ho scelto di scrivere dei posti in cui sono cresciuto, delle situazioni che vedono coinvolto me o persone che ho conosciuto. Prendo questi elementi e li esaspero” (Bruce Springsteen, 1978) 

“Mi ero costruito quella Challenger da solo, ma avevo bisogno di soldi e così l’ho venduta. Vivevo con un segreto che avrei dovuto tenere per me, ma una notte mi sono ubriacato e l’ho raccontato. Per tutta la vita ho combattuto questa battaglia, un conflitto che nessun uomo poteva vincere. E ogni giorno diventa più dura credere in questo sogno. Thunder Road, oh piccola avevi ragione, Thunder Road, c’è qualcosa che sta morendo sull’autostrada stanotte” (The Promise)

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