“Greetings From Asbury Park, N.J.” compie 50 anni

di Corrado Frasca.

Un adagio, frequente nel panorama discografico odierno, riguarderebbe l’impossibilità di un investimento ragionato su un artista in termini di carriera a lungo termine.

In ragione di ciò, si potrebbe affermare che un’importante etichetta discografica non avrebbe attualmente né interesse né pazienza di far crescere un progetto artistico se non sicura di poter ottenere nell’immediato un successo di un certo spessore.

Se ripercorriamo la carriera di molti titani del panorama rock e pop dei decenni scorsi , la tentazione di ringraziare che non siano stati oggi all’esordio discografico è forte.

Tra questi possiamo sicuramente annoverare Bruce Springsteen, dato che è noto come i primi due album, se pur di ottima fattura, furono tutt’altro che un successo, portando la storica etichetta Columbia ad un passo dal volersene liberare.

Il successo arrivò infatti solo con il terzo album del 1975 “Born to Run” e da allora fino ai giorni nostri la carriera di Springsteen è stata un’esaltante cavalcata di trionfi artistici e commerciali, nonostante gli inevitabili contrattempi e le periodiche cadute di tono ed ispirazione.

Dopo le giovanili esperienze in un paio gruppi in cui non era il frontman ma semplicemente un promettente chitarrista del New Jersey che seguiva lo stile hard rock in voga, si circonda di una magnifica cricca di amici musicisti sempre nell’amato stato natale e nell’epiteto di “Jersey o Asbury Sound” raccoglie tutto l’amore per il rock’n’roll più sanguigno in commistione con l’amata soul music.

Fin da giovane, se pur senza contratto discografico, si prodiga nell’infiammare il pubblico locale in esplosivi concerti che saranno solo l’antipasto di quelli leggendari con la futura E-Street Band, che lo incoroneranno come performer di razza e come fulgido esempio di “heart & soul” in nome dell’amato rock in qualità di “Ministry of rock ‘n’roll”.

Nel 1972 però affianca le performer da rocker ad un’altrettanta intensa attività live come solista, con il solo accompagnamento di una chitarra acustica.

Allo stesso modo è un vulcano nella scrittura di pezzi, sia pensati per una band che per una dimensione più cantautorale (purtroppo moltissimi di questi brani in versione intimista alla chitarra o al pianoforte non saranno mai pubblicati in veste ufficiale, nemmeno nei cofanetti retrospettivi fino ad ora pubblicati).

Questa sua duplice natura sarà all’inizio della carriera un’arma a doppio taglio.

Risulterà salvifica perché sarà proprio grazie ai pezzi suonati in solitaria al provino con John Hammond, colui che scoprì Bob Dylan ed Aretha Franklin tra i tanti, che otterrà un contratto con la major Columbia spalancandogli le porte del professionismo.

Risulterà invece deleteria in quanto a livello promozionale la Columbia punterà molto , per promuovere il nuovo assunto, sull’etichetta del “nuovo Dylan”, che prima e dopo di lui portò sempre futuro nefasto a chi sarà affibbiata.

Un equivoco che pervaderà in toto la realizzazione dell’esordio solita, “Greetings from Asbury Park, N.J.“ del 1973, reo di rimanere sempre al guado tra la dirompemente dimensione rock e quella cantautorale, senza pienamente convincere in nessuno dei due fronti.

In realtà, è bene sottolinearlo, il problema risiedette più che altro nella produzione del disco, vuoi per il budget non all’altezza, vuoi perché in sede di arrangiamenti e produzione non si voleva far abbandonare a Bruce la dimensione cantautorale in toto (fu lui ad insistere tra l’altro a voler a tutti i costi in studio la band al completo), fallendo nel tentativo di far convivere pienamente le due diverse componenti , anime artistiche e sonorità.

Un disco che “suona” pertanto tutt’altro che bene e che penalizza l’ascolto di tutti i brani dell’album.

La vena ispiratrice di Bruce è, nonostante quanto premesso, già brillante e regala pezzi di livello altissimo quali “Blinded By Light” (che divenne con la Manfred Mann Band un successone, ma con arrangiamento e stile più pacchiani e mal invecchiati), “Growin’ Up”, la soulfulness “Spirit in the Night” (che in sede live diverrà un must in ogni decade) e la struggente ballata pianistica “Lost In the Flood”.

E l’elenco non è completo perché debbo per forza aggiungere “For you” e “It’s hard to be a saint in the city” (ricordiamo la cover di Bowie nelle b-side di “Pin Ups”).

Rimangono come punti deboli solo due brani “Mary Queen of Arkansas”, una scelta non molto azzeccata considerando quanti brani cantautorali dello stesso stile non considererà mai di pubblicare e “The Angel”, che non regge il confronto con “Lost in The flood”.

Un disco che passò del tutto inosservato, a cui seguì, sempre nello stesso 1973, il più maturo e variegato, nonché bellissimo, “The Wild, The Innocent & The E-street Shuffle” ricchissimo nei suoni, con una produzione migliore e con una sequenza di brani superlativa, con una forte influenza Van Morrissiana e generose spruzzate di soul.

Entrambi non ottennero successo ed entrambi rincorsero nei testi Bob Dylan, in un effluvio a volte davvero prolisso e con conseguente mancanza di efficacia, nonostante si presagisse già il taglio cinematografico che seppe imprimere alle sue storie.

Fortunatamente gli fu concessa un’ultima possibilità e dopo una gestazione a dir poco travagliata partorì “Born To Run” nel 1975 , che diede ragione al suo nuovo mentore John Landau che, dopo un suo concerto, coniò una delle più celeberrime frasi del giornalismo musicale ovvero “ho visto il futuro del rock ‘n’ roll ed il suo nome è Bruce Springsteen”.

Discography

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