Memento mori

di Marco Gioanola

Parigi, 13.05.2023

Sarà per ragioni contrattuali, sarà per poter riempire uno stadio da cinquantamila persone, o forse, come io voglio credere, sarà anche in una parte non trascurabile per necessità che bisogna costruirgli attorno un concerto rock a Last Man Standing. Perché a questo punto, salvo a mio parere improbabili cambi di direzione, questo è il cuore di questo tour.

Ho il sospetto che non pochi fan preferiscano soprassedere sul fatto che anche l’ultimo album sia costruito secondo lo stesso meccanismo: una montagna di E Street sound costruita sopra una manciata di riflessioni sulla morte. Non che Western Stars parlasse d’altro, a dirla tutta. Così come Wasted Days con Mellencamp. Per i più duri di comprendonio Bruce ci mette pure i sottotitoli, eppure c’è ancora chi rimane un po’ deluso perché voleva un concerto rock e basta.

Tralasciando l’aspetto commerciale (chi li pagherebbe cento euro per -ipotesi- due ore di Springsteen solo che racconta boring stories of glory days?), mi affascinano i meccanismi che mi immagino siano stati necessari per far coesistere il pensiero ricorrente della morte con tre ore di concerto rock. Ghosts, Letter to You, Last Man Standing e I’ll See You in My Dreams sono posizionate in scaletta in modo che più esplicito non si può: apertura, centro e chiusura. Se i concerti di Springsteen sono sempre stati (beh, diciamo negli ultimi trent’anni) una celebrazione della vita (“I cannot promise you life everlasting, but I can promise you life, right now”), oggi il messaggio, esplicito, è di assaporare ogni giorno ed essere gentili col prossimo (“enjoy every sandwich” come disse Warren Zevon) perché gli anni passano e incontriamo la morte sempre più spesso.

Mi sembra chiaro, quindi, e benemerito, che su questa impalcatura non si costruiscano show fatti di gente che sale sul palco con la scusa di baciare Soozie Tyrell, o bambini canterini, o centinaia di cartelli con richieste strampalate. E siccome non c’è nemmeno più il fisico di una volta, e le corse di venti metri con scivolata alla fine o il crowdsurfing iniziano a essere esercizi pericolosi per un settantenne miliardario, che si fa?

Si fa, lasciatemi dire: finalmente! che se ne sentiva la mancanza da un po’ di tempo, uno show ben suonato, ben coreografato (per il significato che “coreografia” possa avere in un concerto di Springsteen), che non può che apparire artificioso e quasi ingessato al die-hard fan, ma che salva egregiamente capra e cavoli con una scaletta fatta per accontentare tutti (beh, quasi tutti: quelli che si ostinano a farsi tre-quattro concerti finiranno annoiatissimi e noiosissimi).

Bestemmio sapendo di bestemmiare: Kitty’s Back dal vivo non mi ha mai entusiasmato, ma l’altra sera mi è stata godibilissima. Mi piace tantissimo Nightshift e mi sarebbe piaciuto sentire almeno un altro pezzo da Only the Strong Survive. Sicuramente ci sarà stato qualcuno felice di ascoltare Mary’s Place e forse persino qualche fan di Wrecking Ball.

Verso la fine della prima sera a Parigi, un’improvvida “coreografia” (o “fan action”, come le chiamano oggi queste cretinate?) da parte di un nutrito gruppo di persone nel pit è costituita nel sollevare cartelli gialli e arancioni con scritto un enigmatico “Bruce, don’t stop tonight”, che francamente, a tre giorni di distanza, fatico ancora a decifrare.

Bruce ha fatto finta di non vedere. Suppongo che il messaggio volesse dire qualcosa tipo “vorremmo che questa sera non finisse mai” o “facci un altro bis, magari Twist and shout per venti minuti”. A me però è suonato più come il rifiuto dei fan al pensiero che invece, ne sono sicuro, ha attraversato la mente di molti: quello di “ultimo tour”. Beh, in ogni caso, non sta ai fan decidere quando l’artista può fermarsi, e per questo ho trovato l’esibizione imbarazzante e un po’ irrispettosa. Bruce, buon per lui, non è più prigioniero del rock’n’roll.

Spare Parts, World Tour 2023

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