Gary U.S. Bonds: Dedication

di Marco Gioanola.

Sarà che queste voci di un “cofanetto di The River” mi avevano fatto venire appetito, sarà che volevo mettere le mani su questo disco da un sacco di tempo e non lo trovavo mai in condizioni decenti alle varie fiere del disco, sarà che anche trovarlo in streaming non è facile, e soprattutto certa roba rende al meglio se la ascolti con le note di copertina davanti, insomma finalmente mi sono rivolto a ebay et voilà ecco Dedication.

La storia e le canzoni le dovreste conoscere tutti, comunque in sintesi io la vedo così: Bruce sa di avere un grande debito col rock’n’roll e il soul dei ’50 e ’60, e se dovessimo dare un peso a quel debito misurandolo in ettolitri di sudore versato, migliaia di spettatori che hanno ballato, centinaia di crepe aperte nelle mura dei palazzetti di mezza America, Quarter To Threestarebbe sicuramente lì in cima, probabilmente in compagnia del temibile medley di Mitch Ryder. E’ la fine degli anni ’70, Bruce ha terminato la gavetta, si è caricato di esperienze, di note, di luoghi, come una dinamo, come una turbina, come un uragano che puntualmente esplode in un diluvio di canzoni che inizialmente distillerà in Darkness on the Edge of Town e The River, ma che tracimeranno nei live, negli innumerevoli bootleg, nei dischi di Southside Johnny e, trent’anni dopo, in The Promise, Tracks, eccetera.

In quella smisurata sovrabbondanza di musica (ricordiamoci che erano i tempi in cui Because The Night non trovava posto su disco) Bruce trova anche il modo per ripagare qualche debito “morale”, e da qui nascono “Dedication” e il successivo “On the line” di Gary U.S. Bonds, che dopo aver imperversato con una manciata di hit all’inizio dei ’60 era scomparso dalla scena che conta. Bruce ci mette tre pezzi da novanta, Stevie il suo tocco di produttore, poi basta portare in studio la E Street Band al completo, La Bamba e compari ai fiati, e il gioco è fatto.

JOLE BLON è un traditional cajun, ma io lo annovererei tra i pezzi “di Bruce” tanto quanto le sue versioni di Follow That Dream o Trapped, per quanto la fa sua musicalmente. Il sound è E Street al 100%, con tanto di fisarmonica a mescolarsi perfettamente col resto come in poche altre occasioni è capitato. Bruce duetta con Bonds e siamo tra le vette della produzione della band, con quella magica alchimia di suono che definirei della party band più professionista del mondo, o dei session men più scatenati dell’universo.

THIS LITTLE GIRL è l’ennesimo gustoso piatto cucinato su una collaudata ricetta di soul bianco, una traccia musicale usata miliardi volte, l’ultima delle quali ad essere riemersa dagli archivi, tanto per fare un esempio, è Ain’t Good enough For You. Tutto gira alla perfezione e c’è anche l’occasione per un originale solo/duetto tra sax e chitarra.

Questi pezzi mostrano una delle direzioni che avrebbe potuto prendere il sound di Bruce in quegli anni, che invece è stato mantenuto su binari più rock, lasciando i fiati e l’atmosfera da party band ai Jukes.

YOUR LOVE inizia con i più classici accordi di chitarra springsteeniani e il più classico degli attacchi di fiati alla Jukes, accordi anche questi che saranno riutilizzati innumerevoli volte, da It’s been a long time fino a My City of Ruins. Il soul e il rock si sono fusi in alcuni momenti di grazia nella produzione springsteeniana e qui ne abbiamo esempio.

DEDICATION chiude questa parata iniziale di “bombe” firmate Bruce e prodotte da Stevie & Bruce, partendo con un omaggio ai “fraternity rock” di Double Shot of My Baby’s Love e della stessa Quarter to Three, che Bruce aveva appena citato in Sherry Darling. Il sax di Clarence imperversa per tutta la canzone (le note di copertina precisano che “tutti i solo” del disco sono suoi), e sul tema della cocciuta “dedication” (comune, ad esempio, aStand on It) si chiude questa specie di dichiarazione programmatica in note.

Il lato A si chiude con DADDY’S COME HOME, un lentaccio scritto da Steve, una melodia semplice e un po’ melodrammatica ma efficace, sostenuta da un piano che ricorda un po’ The Iceman e dall’ennesimo solo di Clarence. Siamo dalle parti di Heart of stone, ma si percepisce, appena appena, il cambio di sound causato dall’uscita di Bruce dalla sala mixer. Immagino che Bruce volesse mantenere il controllo totale delle sue “creature” e abbia poi lasciato il resto della produzione a Steve (e Garry Tallent, che appare come produttore associato).

Il repertorio del Lato B è più eterogeneo, e si apre con un pezzo minore dei Beatles, IT’S ONLY LOVE, per il quale gli stessi Lennon e McCartney non hanno avuto parole gentili, definendolo uno “riempitivo”, pur avendo alcuni passaggi sorprendentemente moderni (il pezzo è del ’65). Probabilmente non a caso è stato scelto un brano bistrattato come questo per la rimpatriata di Bonds con Ben E. King e Chuck Jackson. Clarence fa il resto, e in quel periodo e con quel repertorio, quel sax avrebbe nobilitato anche me che canto Soul Man sotto la doccia.

Bonds piazza un altro colpo al cuore con THE PRETENDER di Jackson Browne, che pur rimanendo un po’ meno “e-street” del resto del disco (è difficile dire chi suona cosa in queste sessioni, visto che oltre ai nostri eroi le note di copertina elencano almeno un “doppio” per ogni strumento) regala alcuni passaggi da brividi grazie alla voce che infonde quel calore che a Browne, purtroppo e a mio modestissimo parere, manca. L’originale è del 1976 e ascoltandolo si nota tutto il peso che ha avuto nella scrittura di Bruce del periodo, The Price You Pay su tutte. Mi rimane il tarlo di pensare che con la dovuta iniezione di fiati questo pezzo avrebbe raggiunto vette ancora più alte, ma è sufficiente il finale da predicatore di “say a prayer for the pretender” con tanto di coro quasi gospel a far segnare un altro punto più che positivo sul tabellone.

WAY BACK WHEN, scritta da Bonds, è l’unico pezzo non prodotto da un e-streeter, e si sente. Il sound è più pop e risente di quella sorta di power-pop-funk alla Jackson 5 sul quale la famigliola dell’Indiana stava ancora allegramente lucrando in quegli anni. San Clarence Clemons sostiene tutto quanto sulle sue possenti spallone.

FROM A BUICK 6, sì, quella di Dylan, probabilmente passava di lì per caso e poco si adatta alla voce di Bonds, che fa di tutto per metterci un po’ di grinta blues-rock che però non è proprio il suo pane. Guida il tutto un pianoforte un po’ troppo da saloon per attribuirlo al Professor, ma non mi è dato sapere e quindi tiro a indovinare.

JUST LIKE A CHILD è il lentaccio che chiude il disco, un omaggio ai mostri sacri del soul classico: Sam Cooke, Otis Redding, Percy Sledge, Wilson Pickett, eccetera. Per farsi un’idea, siamo dalle parti di I Got Dreams to Remember, e ovviamente il sax di Clarence ci va a nozze. Anche i rocker hanno un cuore e diventano dolci come orsacchiotti di peluche quando sentono pezzi come questo.

Tornando all’inizio, la speranza del sottoscritto quando sono iniziate a circolare voci su un “cofanetto di The River” era che potessimo ascoltare le versioni di Bruce di questi pezzi, ma a quanto dicono le ultime “news”, sembra che non sarà così e che di materiale inedito se ne sentirà ben poco. Sempre queste “fonti” parlano di una rimasterizzazione degli album fino a Born in the USA, se ho ben capito, operazione che mi lascerebbe alquanto perplesso. Ma vedremo.

 

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