Ricordando Zurigo 1981

di Gianni.

Avevo quattordici anni quando verso il ’76-’77 ho cominciato ad ascoltare musica rock alla radio, occupazione allora non molto di moda. L’opinione comune era che il rock strangolato dalla ripetitività dei dischi dei grandi del passato e dall’assenza di voci nuove fosse ormai moribondo. In Italia oltretutto gravi incidenti e disordini condizionarono lo svolgersi dei concerti che, come ognuno di noi ben sa, tanta parte hanno nello stabilire e arricchire la relazione tra artista e pubblico. Qualche anno dopo con il ritorno degli spettacoli dal vivo i mezzi di informazione ripresero interesse per questo fenomeno giovanile capace all’improvviso di riempire stadi interi. Personalmente non ero molto lusingato da questa attenzione da parte dei giornalisti e nemmeno dovevo essere l’unico se qualcuno a S. Siro dedicò uno striscione a un noto tuttologo: “Minà scemo” recitava. Poveraccio, in fondo non se lo meritava o forse sì perché sembrava che Bruce lo capisse solo lui, un po’ come Jon Landau insomma.

Inizialmente soldi per comprare dischi non ne avevo e comunque volevo schiarirmi le idee, volevo capire; perché le emozioni che la musica mi dava erano una novità che ancora mi sconvolgeva e volevo imparare in qualche modo a gestirle, ma non impiegai molto a comprendere che tre della mie canzoni preferite tra quante ne ascoltavo alla radio erano delle autentiche bombe: “Born to Run”, “Jungleland”, “Blinded by the light”, una energia dirompente e incontenibile e una sincerità disarmante. Così nel ’78 poco dopo la sua uscita finalmente acquistai “Darkness on the Edge of Town” e un po’ di tempo dopo un “Live at Winterland” di pessima qualità per di più con l’etichetta camuffata; cito testualmente: BLUE BELL ROCH, lato A Long Ton Sally, Gelusy Roch, Reddy Teddy, lato B Rip Tip Tap, Blue Monday. Ironia dei produttori  clandestini di questo disco la cui qualità non impediva però scaturisse dai solchi qualcosa di enorme. Quello non era un disco, era la fine del mondo.

Poco tempo dopo un mio amico per vie misteriose mi procurò un biglietto: Bruce Springsteen & The E Street Band in concert – Samstag, 11. April 1981, 19 Uhr – Innenraum parkett platz 3069

Momento di silenzio prego.

Una volta percorrere 600 chilometri per andare a un concerto non era una cosa abituale come lo è per noi oggi e forse più difficile da spiegare e immaginare la sensazione che quella poteva anche essere la prima e l’ultima volta che vedevo Bruce dal vivo. Un po’ lo dimostra il fatto che musicisti come Seger, Cougar e Fogerty in Europa hanno suonato poco o nulla e le loro carriere sono naufragate; dire ora che Bruce è diverso per cui a lui era destino non capitasse può essere un’opinione convincente ma a giochi fatti è troppo facile sostenerlo.

Ebbene, la sera del 10 aprile sono salito su di un treno notturno dotato di comodissimi sedili di legno “alpino” -sul serio- per giungere a Zurigo alle 6.30 del mattino, quando sapevo benissimo che il concerto era alle 19 e i posti numerati e a sedere! Avere diciotto anni, essere un perfetto ingenuo, avere tanto entusiasmo ed essere arrivato in leggero anticipo presentò alcuni vantaggi e mi permise di stabilire alcuni primati mai omologati.

Al Hallenstadion che allora era quasi in campagna manco a dirlo non c’era proprio nessuno, in compenso a una certa ora giunsero, a piedi e da soli, Steve vestito da spaventapasseri, Max e Roy ai quali fui incapace di dire alcunché; entrarono da una porticina e per un attimo ebbi la tentazione di seguirli ma poi vista la severità elvetica pensai che fosse meglio vedere il concerto quella sera che non visitare un commissariato, poco ma sicuro. Altro vantaggio, sebbene effimero, aver sentito il soundcheck, ovvero “Hungry heart” strumentale e basta, si vede che avevano le idee chiare! Il secondo primato è stato di avere anticipato tutti ad alzarmi durante “Factory” che, acustica e spettrale, fungeva da apertura mentre Bruce era illuminato da uno spot bianco nel buio totale. E mentre Bruce se ne stava li illuminato, con la Fender e una camicia a quadri, io ero terrorizzato all’idea che gli svizzeri il concerto volessero gustarselo sprofondati nelle loro poltroncine; tutti erano ancora educatamente seduti quando ho conseguito credo il terzo e ultimo primato mondiale della mia vita, quello di avere raggiunto in solitudine il palco, un po’ esitante perché consapevole d’essere attentamente osservato dagli Hell’s Angels del servizio d’ordine, situazione di certo non molto rassicurante. Dopo avere evitato le prigioni svizzere era un peccato finire a visitare un pronto soccorso! Vallo a sapere cosa ha in testa uno che organizza uno spettacolo in quel modo e mette teppisti per servizio d’ordine. E poi il diluvio.

E’ passato tanto tempo e i ricordi non sono più tanto chiari, né mi sembra il caso di spiegare proprio a voi cosa si provi a vedere uno spettacolo di Bruce. Vi posso solo dire che Bruce non era diverso, solo un po’ più nervoso e piacevolmente scattante e che un mio amico mi dice sempre che quando inventeranno la macchina del tempo “io e te i concerti del ’78 andremo a vederli tutti”, il mio amico Mauro. Attendo fiducioso. Per il momento mi accontenterei di rivivere anche solo cinque minuti di quella serata.

Mi soffermo e rivolgo il pensiero ad Elena, la mia compagna di avventure, il mio compare, tenace, orgogliosa e sincera. Sì perché il caso, giuro il caso, ha voluto che lungo la strada mi sia capitato di incontrare una persona con la stessa rovinosa passione, un altro dei tanti condannati ad inseguire Bruce, fortunatamente non l’unica cosa che ci accomuna anche se insieme talvolta ascoltiamo musica per ore, discutiamo cavilli e minuzie per giorni e ci logoriamo in sfibranti attese davanti ai cancelli dei palasport interrogandoci sul perché si senta il bisogno irrinunciabile di avere un contatto di pelle e di sguardi con Bruce disposti a pagarlo a così caro prezzo. Un pizzico di sano dubbio è doveroso. Ed è proprio da quando ho incontrato Elena che sono successe le cose migliori: il Bayerischerhof, il balcone di Napoli, Leap of Faith, autografi, strette di mano e soprattutto tantissime sudate transenne, il premio più bello di tutti, nonché altre svariate fortune di cui Elena mi ha vietato la divulgazione e poi forse nemmeno mi credereste.

Avvenimenti possibili perché Bruce è non solo sensibile, intelligente e paziente, ma anche incredibilmente attento al suo pubblico. Lui è l’unico artista credo che dall’alto del suo successo, dei milioni di dischi venduti e delle innumerevoli sale in cui si è esibito continui a darsi completamente e a trattarci da pari a pari. Mi viene in mente una banalità, aprire il libretto del vinile del Live ’75-’85 e andare a riguardare l’ultima foto, quella in bianco e nero dove cammina di spalle tra le sedie di un’arena ancora vuota, con la chitarra a tracolla mentre fa il soundcheck, e mi piace immaginare di trovarmi ancora sdraiato su un prato di fianco al Hallenstadion a sentire la E Street Band che intona i quattro accordi di “Hungry Heart” mentre Bruce è intento ad aggirarsi tra le file di sedie vuote, in quel momento così strano e particolare durante il quale l’ottica palco-platea è momentaneamente rovesciata e lui ci è più vicino che mai, proprio perché non si tratta solo di pignoleria ma anche e soprattutto di immedesimazione.

Un abbraccio ai miei amici e un caro saluto a chiunque abbia avuto la pazienza di dedicare un po’ di tempo a quelli che sembrano forse solo ricordi ma sono innanzitutto una passione che è con me per rimanere.

Live, The River Tour

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