20 settembre 1982: Bruce Springsteen pubblica Nebraska

di Alberto Calandriello.

Nebraska, l’album acustico, folk, solista, le mille definizioni attribuite a queste 10 canzoni.

Nebraska, che forse la E Street BAnd era troppo o forse troppo poco, perché quei dieci demo erano talmente perfetti da non aver bisogno di altro.

Nebraska, l’album della gente che lotta e che quasi sempre perde.

L’assassino, il disoccupato, il precario che non può permettersi altro che macchine usate, il figlio che guarda con il padre una bella casa in collina e sogna di viverci, il disperato costretto a fare “piccoli favori”, il poliziotto costretto a scegliere tra il dovere e la famiglia.

Nel corso dei 38 anni passati dalla sua pubblicazioni, Bruce ha spesso messo mano a queste canzoni, rivoltandole, ri-arrangiandole, creando per loro nuovi “vestiti”.

Atlantic City con il coro gospel nel ’92, la versione “irlandese” delle Seeger Sessions, la baraonda folk-rock di Open All Night, la maratona rock di Johnny 99; la trama del film, che poi film è diventato davvero, di Highway Patrolman, l’incubo notturno di State Trooper, le invocazioni al rock and roll di salvare l’umanità dal nulla, Reason To Believe, la voce filtrata, distorta, cupa, la versione del tour 2007/2008 con quel riff che ti si incolla addosso. La fisarmonica di Danny sempre a ricamare nelle scarne versioni acustiche presentate nelle prime esibizioni live di queste canzoni, durante il tour della pomposità, dei muscoli e della bandana a rimarcare la serietà con cui Bruce tratta le sue composizioni e la coerenza del suo percorso artistico.

Se esiste un criterio per valutare l’assoluto di una canzone o di un album, potrebbe essere la sua capacità di adattarsi alle diverse versioni?

Ecco allora che Nebraska è assoluto, immortale, moderno, attualissimo.

Nella costante ricerca del filo conduttore all’interno della discografia di Bruce, credo che i personaggi di Nebraska si colleghino e sviluppino la disillusione di Darkness, anticipino i temi di Tom Joad, gettino le basi per le analisi e le critiche sociali di Wrecking Ball.

E non possiamo dimenticarci che Born In The U.S.A. è inizialmente nata come facente parte del “progetto” Nebraska, con la sua voce dolorosa ed addolorata di chi reclama i suoi diritti perché nato nella terra che lo sta emarginando, ennesimo personaggio che si sarebbe inserito perfettamente nella trama di questo album così duro, amaro, a tratti anche spietato.

Non sono pochi quelli che considerano Nebraska il miglior disco rock di Bruce, alcuni lo pongono in vetta in assoluto, altri disquisiscono se considerarlo un album folk o rock.

Io credo che Nebraska sia semplicemente un disco meraviglioso, in bianco e nero come la sua altrettanto splendida copertina, un disco che mette il suo autore e chi lo ascolta davanti a problematiche di respiro universale, un disco che pone i personaggi delle sue canzoni in una dimensione diversa da quella giovanile e speranzosa di Born To Run, ma anche di quella disillusa e rancorosa di Darkness; personaggi adulti, usciti da The River, che entrano in un’ottica politica della società, intesa come lavoro, speranze, impegni e contro la società sbattono pesantemente il muso.

Nebraska è un disco molto politico, nel senso migliore del termine, perché tratta dei problemi e delle conseguenze che le scelte politiche comportano.

Non a caso, al presidente Reagan che lo citava a sproposito, Bruce dedicò Johnny 99, certo che non l’avesse mai ascoltata.

Buon compleanno Nebraska, so che ti troverò sempre attuale.

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