Pillola 10: Kitty’s Back, Rosalita & Thundercrack

di Dario Greco.

Springsteen vince la sua prima necessaria battaglia ed è pronto per il salto di qualità. Il suo secondo lavoro sarà infatti quel capolavoro stilistico e musicale che risponde al nome suggestivo di The Wild, The Innocent and the E Street Shuffle. Una canzone su tutte? Beh, ovviamente Rosalita (Come Out Tonight).

Dopo aver vinta la prima battaglia, pubblicando il disco Greetings from Asbury Park, N.J. Springsteen convince il suo management che è arrivato il momento di fare sul serio, in termini di registrazioni con la sua band. Compone perciò brani strutturate in modo differente, rispetto a certi episodi del disco di esordio, ma conservando gli elementi primari che lo avevano fatto notare, lodandone le abilità come autore. Arriva così The Wild, The Innocent and the E Street Shuffle, il suo secondo lavoro in studio. Il disco pur contenendo una sequenza coerente di composizioni notevoli, dove spiccano brani come Incident on the 57th Street e New York City Serenade non convince né la critica né il pubblico.

Non solo, riesce a inimicarsi anche i vertici della Columbia, dove a proteggere Springsteen non ci sono più né il talent scout John Hammond, nè Clive David. Ritrovatosi solo Bruce Springsteen dovrà fare di necessità virtù, autopromuovendo il disco, che intanto è diventato un fiasco, e pensando a come risalire la china componendo qualcosa di veramente grandioso e d’impatto. Sarà la composizione del brano Born To Run a farlo risorgere, ma questa è un’altra storia. Qui infatti vorrei scrivere di quella strepitosa tripletta rappresentata da Rosalita, Kitty’s Back e dall’inedita (fino al 1998) Thundercrack!

Kitty’s Back strizza l’occhio al rock con influenze jazz e a certe cose dei primi dischi dei Santana. Uno swing distorto, musica per big band malate, dirà l’autore sull’autobiografia Born To Run. “Nel 1973 avevo bisogno di un repertorio capace di catturare l’attenzione di un pubblico che non mi conosceva”. Questo secondo lo stesso autore sarebbe il motivo principale che lo ha spinto a scrivere brani lunghi e scatenati. Rosalita è una sorta di autobiografia musicale, facendo da apripista a quello che sarebbe stato poi Born To Run. Un calcio nelle palle a tutti quelli che ti emarginano senza motivo, umiliandoti e facendo pensare di non essere poi chissà chi. C’è una forza ancestrale nelle migliori canzoni giovanili di Springsteen, che oggi possiamo ascoltare a distanza di quasi 50 anni.

È il potere di farti sentire migliore, adeguato e pronto alla battaglia. Chiunque abbia ascoltato il suo secondo disco sa bene a cosa mi sto riferendo. Non è un caso se questo è un disco che tutti gli appassionati considerano fondamentale. Non si tratta solo della qualità delle composizioni, che è comunque notevole, ma di avere ideali, ambizioni e un po’ di quella sana strafottenza che è necessaria per sbarcare il lunario musicale. L’autore che le scrive è pienamente consapevole, sa che è dura, ma non demorde e non lascia nemmeno un centimetro ai suoi detrattori. Li riempie di suoni, di coriandoli e girandole, come un bravo manovratore di giostre che conosce il proprio mestiere. E’ vero: c’è del caos negli arrangiamenti di The Wild, ma è tutto calibrato alla perfezione e raramente abbiamo sentito sax e tastiere saltellare e danzare all’unisono come avviene tra i solchi di questo album. Sono canzoni calde e soleggiate, un vero inno alla giovinezza e alla gioia di vivere: all’estate del cuore, come direbbe il poeta. C’è il fervore delle migliori soul band, ma c’è anche un elemento che in quegli anni stava emergendo tra i gusti e gli ascolti della canzone d’autore crossover.

Mi riferisco a Van Morrison, che prima coi Them e in seguito attraverso la sua carriera solista aveva sparigliato le carte, mischiando musica nera e bianca con abilità e profonda conoscenza. E non ci sarebbe stata Kitty’s Back senza Moondance e senza Saint Dominic’s Preview, che la anticipa appena di un anno. A distanza di tempo sempre Springsteen affermerà come Van Morrison fosse da sempre uno dei suoi idoli.

Richard Ford, Bruce Springsteen, and Me | The Rogovoy Report
My heart’s wood, she’s a carpenter, she’s an angel in the night, what she does is alright. Dance with me, partner, dance with me, partner!

Lo spettacolo pirotecnico di questa ode al ballo e alla bellezza è legato principalmente ai cambi di ritmo e al botta e risposta della Band, che qui suona veramente come se dovesse demolire il locale. Tornano alla mente immagini tratte da film come Blues Brothers o The Commitments, solo che questo piano sequenza va ambientato sul Jersey Shore con Southside Johnny e Steve Van Zandt comprimari di lusso. Diamo per scontato il contributo che Springsteen diede al Jersey Shore sound, una miscela di rock and roll pre Beatles, r’n’b, doo-wop e cultura urbana della Mid-Atlantic con i fiati che assumono spesso un ruolo centrale nel percorso dinamico e sonoro.

Thundercrack così come molti episodi presenti su The Wild, The Innocent… sono un esempio lampante di questo suono e del potenziale spettacolare che i primi dischi di Springsteen potevano ottenere. Sappiamo bene che le cose presero poi un’altra piega favorite anche dal fatto che Vini Lopez e David Sancious abbandonarono la band, sostituiti da Max Weinberg e Roy Bittan, due musicisti forse più versatili e duttili, ma che hanno un approccio e un background molto diverso. Springsteen dopo Born To Run cambia anche produttore e si allontana da questo modo di fare musica. Otterrà un successo prima nazionale e in seguito planetario, ma gli estimatori di questo sound ancora oggi ascoltano estasiati gli assoli di Kitty’s Back e i break di Rosalita e Thundercrack, segnale univoco che c’era eccome del buono in questi primi, acerbi lavori.  

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