Soul Days…

di Armando Chiechi

No… non mi meraviglia affatto che Bruce Springsteen abbia voluto pubblicare un album di musica soul, tributando il suo amore ad eroi di altri tempi e a labels di gran valore quali la Motown, Stax ed altre che non cito per mancanza di spazio. Ad essere sincero inoltre aggiungo come ho scritto in altre occasioni, che da tempo il nostro ha smesso di darmi quelle vecchie e care good vibrations appartenute ai cosiddetti Glory Days, in cui si aspettava con trepidazione ogni sua uscita ed ogni rassegna stampa, pronta a presentare la novità o il concerto dato in anteprima mondiale.

Certamente sono invecchiato io come siamo invecchiati in tanti e lui in primis. Aimè però a volte però qualcosa si spezza in certe dinamiche e nel tuo cuore ma non ho mai dimenticato il valore e cosa ha potuto significare l’ artista del Jersey nella mia vita di appassionato e dico appassionato e non fan, perché a questo punto dovrei esserlo di una moltitudine di artisti e band sparse tra States e vecchio continente.

Ad ogni modo comunque non ho mai abbandonato l’idea che possa fare qualche buon disco e non ho mai considerato finito Springsteen, perché come siamo cambiati noi è cambiato lui e quindi pretendere che replichi all’ infinito un Born To Run o un Darkness on the Edge of Town mi sembra anacronistico, inutile e fuori da ogni logica. E quindi ad essere sincero ho voluto prendere questo Only the Strong Survive cercando di smarcarmi sia da inutili fanatismi ma al tempo stesso scansando i proiettili sparati comunque dai tanti detrattori. Perché si può scherzare con il ” Santo di Freehold”, criticarlo, fare battute sul suo completo elegante che richiama i Goodfellas di scorsesiana memoria… ma la cattiveria invece è un’altra cosa.

Certo gli originali sono altro ma ritengo ascoltandolo proprio mentre scrivo che Springsteen e il suo team abbiano fatto un buon lavoro e prima di tutto onesto e rispettoso verso il genere, lo stile espresso in seno alle labels e allo spirito dei singoli brani. Sicuramente non è un capolavoro e un album in cui il nostro canta con sicurezza ed una voce che per quanto e purtroppo non può essere quella dei suoi anni d’oro è comunque aderente perfettamente al genere di cui sopra. Non nego che avrei voluto magari più titoli in linea con quanto espresso negli anni live, più Stax e meno Motown ma i sogni sono nemici della realtà e comunque si vocifera di un altro volume.

C’è chi si è scandalizzato per l’ eccessiva presenza di Aiello però a ben vedere mi sembra, almeno ad un primo ascolto che il disco suoni come dovrebbe, così come degli archi che a partire dagli originali sono una prerogativa di certi brani. Un compito ben fatto e nulla più probabilmente e forse aggiungo che avrebbe potuto osare di più e perché no, magari chiamare gli amici Steve e Southside. Sarebbe stato bellissimo ma ad ogni modo è un lavoro che scorre bene e chiedere di più ai suoi 73 anni mi sembrerebbe ingiusto. Alla prossima Bruce.

Spare Parts

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