On Brodway: uno show imperdibile

di Marco Gioanola.

Sono tornato da New York dove ho visto lo show. Ecco qualche impressione.

Per prima cosa, lo sconsiglierei a chi non ha una conoscenza dell’inglese più che buona, perché come noto le parti parlate costituiscono il 50% dello spettacolo e quindi mi sembra abbia poco senso andare a vedere una cosa di cui si capisce poco.

“Sì ma Bruce è Bruce”… mmmh insomma. Credo sappiate tutti che questo non è un concerto, ma vale comunque la pena sottolineare che qui non c’è interazione col pubblico. Non c’è niente di simile a quanto avviene in concerto. Qui Bruce recita. So già che voi direte: ma lui “recita” una parte anche durante i concerti! Certo, ma è un po’ diverso. Il concerto è un’esperienza più fisica, che a Bruce viene più naturale, nella quale inoltre lui cerca molto l’improvvisazione proprio per mantenere viva l’attenzione. Qui invece Bruce si appoggia molto ai monitor suggeritori e non devia dal percorso stabilito, il che in questo caso è un bene.

Visto il tipo di show, credo che il prolungamento fino a Giugno sia una buona notizia. Chi ha visto il cameo di Bruce nel film High Fidelity o la sua comparsata nella serie Lillyhammer sa che la recitazione non è proprio il suo forte; sono convinto che ripetendo lo spettacolo per decine di volte riuscirà a superare anche quei due-tre momenti in cui risulta un po’ “rigido” e allora lo show sarà perfetto.

Fatte queste premesse, chiariamo: lo show è IMPERDIBILE. Lo vedrei un’altra volta? Sì. E considerate che sono uno che raramente si fa più di una data per tour.

La struttura ormai la conoscete tutti: circa due ore senza intermezzo, una prima parte con molti più interventi parlati (e quindi, forse, più interessante, come peraltro anche nel libro), un paio di pezzi con Patti e la seconda parte un po’ più focalizzata sulle canzoni.

Ogni singolo “pezzo” è da incorniciare, con i miei preferiti l’iniziale Growin’ Up, ovviamente Tenth Avenue Freeze-Out, e la finale Born To Run (che, seppur acustica, non è quella “triste” dell’88). Al top anche i pezzi con Patti.

Ho letto pareri un po’ critici circa l’accoppiata Long Walk Home / The Rising, mentre quello per me è il momento in cui si è chiarito tutto. Siamo a Broadway. A Broadway si fanno i musical. Questo è BRUCE SPRINGSTEEN: THE MUSICAL.

Se ben ricordo, uno o due tentativi di produrre dei musical partendo dalle canzoni di Bruce furono fatti in passato, ovviamente finiti nel dimenticatoio. Perché l’impresa è difficilissima: infilare in sequenza brani musicali e unirli con una storia coerente… le combinazioni sono infinite, e quasi tutte pessime. Ma se il filo conduttore è la vita di Bruce Springsteen, e il direttore dello spettacolo è lui stesso, allora tutto diventa più facile, perché solo lui può creare la sequenza dove tutto ha perfettamente senso e tutto torna.

Togliete gli attori professionisti, la band, la scenografia, ma ciò che rimane è Bruce Springsteen: il musical. Questo è Grease, questo è La febbre del sabato sera, questo è West Side Story. Una grande rockstar ripercorre la sua storia, dalle strade di Freehold a quel viaggio in California, al matrimonio, la formazione della band, il successo planetario, alla scoperta del “trucco” necessario a tenere ottantamila fan urlanti con gli occhi fissi su di lui.

Con la scusa di spiegarci qual è la “magia” che gli ha permesso di diventare miliardario senza aver mai fatto “un lavoro serio” in tutta la sua vita, Bruce Springsteen ha sfoderato il suo numero più spettacolare: tramutare un uomo e la sua chitarra su un palco spoglio in un colossal.

Avete presente quando, nel film dei Blues Brothers, Cab Calloway inizia a cantare Minnie The Moocher? in quel momento, il gruppo di scapestrati si trasforma in una big band in smoking, appaiono gli scranni, le scenografie… finisce la musica e ci si ritrova di nuovo in jeans. Ecco, posso assicurarvi che l’altra sera, durante Dancing in the Dark, davanti a me c’era il palco del Madison Square Garden, c’era un corpo di ballo di venti elementi, una live band, chitarre elettriche, folla in delirio, impianto luci faraonico, tutto quanto. Finisce la musica, guardi e c’è un uomo solo che saluta dal palco, un pianoforte e praticamente nient’altro.

Magia riuscita alla perfezione.

Comprate un biglietto. New York a Maggio dev’essere stupenda.

 

Altre note sparse di pubblica utilità.

Il Walter Kerr Theatre è un gioiellino, come ben sapete, da 900 posti. Gli spettatori in prima fila possono letteralmente appoggiare i piedi sul palco. Io ho speso il patrimonio che sapete per la seconda fila, convinto di avere un posto laterale e ritrovandomi invece esattamente davanti al microfono di Bruce. Solo l’esperienza dei momenti in cui si allontana dal microfono e parla direttamente al pubblico senza amplificazione vale il prezzo del biglietto.

All’ingresso bisogna passare attraverso un metal detector quindi si forma una lunga fila che però procede celermente. All’interno non si possono fare foto, nemmeno prima dello spettacolo. Ovviamente, come avrete visto, c’è modo di fare qualche scatto, ma il personale di sala è molto solerte nel riprendere i trasgressori.

Bruce arriva in teatro verso le 19, e si ferma per qualche autografo. Considerate che martedì 9 gennaio faceva circa -10 e i primi temerari a quanto ho sentito dire stavano presidiando l’entrata dalle 15:30. Non oso pensare a cosa accadrà in primavera. Verso le 17 vengono preparate delle transenne dove la mandria viene ingabbiata, in modo da non intralciare la strada o l’uscita del garage vicino. Quindi se non siete in transenna, niente autografo. Stessa scena dopo lo spettacolo, anche se non so a che ora esca Bruce.

Il teatro è a 5 minuti da Times Square, IL posto più turistico di New York, quindi sono rimasto sorpreso di aver trovato una camera a prezzi decenti (non economici: decenti) all’Hilton Garden Inn dietro l’angolo, location strategica top. Questo per l’alloggio. Per il vitto, all’altro angolo ha aperto l’Opry City Stage, dove si può trovare cibo relativamente sano e soprattutto c’è sempre musica country e un bel palco per la band dal vivo.

Live, On Broadway

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