The Ties That Bind: Emissari e affluenti in The River

di Dario Greco.

Alla fine tutte le cose si fondono in una sola, e un fiume l’attraversa. Il fiume fu scavato dal grande fluire del mondo, e scorre tra le rocce dall’inizio dei tempi. Sopra le rocce sostano gocce di pioggia senza tempo. Sotto le rocce sostano le parole, e alcune delle parole sono le loro. Sono tormentato dal fiume.

Queste parole appartengono al personaggio interpretato da Craig Sheffer nel film di Robert Redford, “In mezzo scorre il fiume”, incantevole pellicola del 1992 tratta dal romanzo autobiografico di Norman Maclean, pubblicato nel 1976. E’ stata una lunga attesa, per i fan duri e puri di Bruce Springsteen ma il 4 dicembre 2015 è giunto il giorno di The Ties That Bind – The River Collection.

Si tratta di una di quelle date storiche, visto che il materiale raccolto in questo monumentale box composto da 4 CD e 3 DVD: il motivo è piuttosto semplice, questo box fa nuova luce, in termini retrospettivi su uno dei periodi migliori per la produzione discografica del Boss. Il cofanetto comprende infatti il doppio album “The River” originale, ma soprattutto la prima release ufficiale di “The River: Single Album“, il disco mai uscito e già pronto nel 1979, così com’era stato pensato in quel particolare frangente. Le cose poi, come tutti sanno, andarono diversamente. Ancora più interessante però è scoprire il materiale inedito raccolto nel quarto cd, che si intitola “The River: Outtakes”, e che include ben 22 canzoni inedite. Si tratta di brani che i fan più esigenti conoscono già per via dei molti bootleg in studio e live pubblicati nel corso di questi 35 anni. Ci sono anche tre DVD composti da un doppio con il concerto di Tempe, Arizona del 1980, considerato da molti come uno dei migliori live mai eseguiti da Bruce Springsteen. A chiudere la parte audio-video c’è il bel documentario realizzato da Thom Zimmy, che include un’intima e solipsista intervista in cui Springsteen esegue alcuni dei brani del disco “The River”, intervallati da riflessioni, retroscena e qualche rara immagine del periodo a cui fa riferimento. Archiviato il lato audio e video, il box non finisce qui visto che è corredato da un pregevole libro illustrato che contiene 200 foto rare e bellissime con un saggio scritto da Mikal Gilmore oltre al “quaderno” con i testi autografi di “The River”.

Il documentario realizzato ancora una volta da Thom Zimmy, “The ties that bind”, è un reperto davvero struggente dove uno Springsteen in versione rigattiere, dalla sua rimessa del New Jersey canta, spiega e ricorda uno dei periodi più importanti della sua carriera da musicista. Era un giovane artista ambizioso di 31 anni, quello che si apprestava a lanciare il suo secondo più grande successo dopo “Born To Run”. Ed era un artista maturo, che in cabina di regia discuteva con i suoi più stretti collaboratori, tra cui lo stesso Van Zandt e il manager Jon Landau, su come poteva essere questo disco. Il disco divenne “The River”, uno dei doppi più celebrati della storia del rock. Un disco esemplare che può comodamente racchiudere e riassumere la carriera e la vicenda umana di quello che all’epoca era definito l’eroe del blue-collar rock. Uno dei capitoli più intensi e vibranti di quello che Leonardo Colombati definisce il Grande Romanzo Americano Rock.

“Quando ho composto The River ho cercato di accettare il fatto che il mondo è un paradosso e nient’altro. E l’unica cosa che puoi fare davanti a un paradosso è vivertelo. Nell’album io dico semplicemente che non capisco tutte queste cose, non vedo come stanno insieme.”  (Bruce Springsteen) 

Analizzando “The River
Tuttavia se si vuole analizzare e conoscere al meglio i segreti di un disco epocale ed epico come “The River”, bisogna fare un passo indietro e tornare a riascoltare un disco e un bootleg: il disco è naturalmente “Darkness on the edge of Town”, mentre il bootleg, conosciuto con diversi titoli, reca l’immagine dello stesso lavoro in studio del 1978 con la dicitura “The Definitive Remastered Darkness Outtakes”. Escludendo i primi due dischi, Greetings e The Wild, pubblicati a stretta distanza, ma registrati in due anni diversi, visto che il primo era fermo ai box dall’anno precedente, il distacco temporale che intercorre tra “The River” e “Darkness”, di due anni e quattro mesi, nasconde un legame profondo e netto tra questi due dischi in studio. Questo legame assume connotati precisi che si possono meglio capire e rintracciare ascoltando e sezionando un lavoro come “The Ties That Bind: The River Collection”. Le canzoni già pronte ma poi scartate per “Darkness”, rispondono al nome di “Sherry Darling”, “Drive All Night”, “Point Blank”, “Independence Day”, “Ramrod”, due delle quali sono le assi portanti per il secondo disco di “The River”.

Secondo alcune leggende, proprio “Darkness” poteva essere il primo disco doppio della produzione springsteeniana; oggi naturalmente sappiamo come andarono le cose, ma soprattutto possiamo finalmente ascoltare almeno uno dei lost album di Bruce Springsteen: “The Ties That Bind (The River: Single Album)“. Un lavoro che serve, in un’ottica retrospettiva, a farci capire perché a volte Springsteen ha necessitato di tempi lunghi di gestazione, prima di pubblicare un disco. Non che si tratti di un disco brutto o sciatto, ma sicuramente è un lavoro un po’ debole e sottotono, soprattutto se paragonato al precedente, “Darkness” o al successivo “Nebraska”. Non avrebbe sfigurato, visto che il materiale è comunque di qualità, ma nel tempo sarebbe stato ricordato di certo come un episodio minore, nella produzione artistica in studio del Nostro.

The Power Station, New York – Fotografia di David Gahr

Sappiamo bene che le cose andarono in maniera diversa. Mi preme fare luce su un aspetto poco noto al grande pubblico e a certa critica: il suono, l’anima e le motivazioni di “The River”. Molto si è detto e scritto a favore di questo lavoro, tuttavia il più delle volte vige un clima di incertezza nel considerare e giudicare questo disco. Si è spesso parlato di un sound fresco e paragonabile a quello di uno spettacolo dal vivo. Molto giusto, sicuramente vero, ma per ottenere in studio questo effetto, il lavoro effettuato sulle dinamiche delle ritmiche e in particolare di batteria, basso e chitarre, per chi abbia un minimo di dimestichezza con la produzione e la registrazione, è tutt’altro che semplice, naturale e spontaneo, come metodo di lavorazione. A ben sentire c’era molta più immediatezza e spontaneità nei suoni proprio in “Darkness”, grazie al lavoro basato sull’essenziale portato a termine da Springsteen, Van Zandt e soci. Che cosa viene fuori e perché questo lavoro è stato così celebrato e viene ancora ricordato a distanza di quasi 40 anni?

Per la prima volta l’autore pubblica una raccolta di brani smaccatamente rock and roll: basta dare un’occhiata alla track list, senza considerare le molte outtakes, che oggi possiamo recuperare attraverso “Tracks”, “The Essential”, ma soprattutto nel cd dedicato al materiale inedito di “The River”, presente in questo cofanetto. Alcuni brani sono davvero incredibili, altri verranno poi smembrati per dare nuova linfa ad altri, ma in generale si può notare come il livello sia piuttosto alto e avrebbe meritato maggior fortuna, come nel caso di brani come “Be True”, “Roulette” o “Loose Ends”. Stiamo parlando però di Bruce Springsteen, un musicista che più volte ha escluso (o avrebbe voluto farlo) canzoni di impatto e di sicuro successo, aspetto che andrò a trattare più avanti (“Further on Up the Road”). Bisogna forse seguire la corrente, per apprezzare e meglio comprendere questo ricco e lussureggiante fiume, eppure è innegabile come dopo “Tracks” e soprattutto dopo il Reunion Tour del 1999, il Nostro abbia deciso di offrire una seconda occasione a brani minori o meno considerati, secondo gli standard dell’epoca in cui erano stati composti. Non solo, dato che scopriamo come canzoni di “The River” abbiano più versioni alternative. Pensiamo ad esempio ai casi esemplari di “Stolen Car” o di “You can look (but you better not touch)” dove rispondere con sicurezza a quale sia la versione migliore sembra una variante del tormentone infantile: a chi vuoi più bene, a mamma o a papà?

Personalmente, ma ci sono tanti altri fan a darmi conforto, non ho mai compreso l’esclusione di pezzi come “Loose Ends”, “Roulette”, “Be True” o “Restless Nights”, dove la musica scorre davvero come quel fiume che Springsteen cerca di evocare, costi che quel che costi (“The Price You Pay”). Le scelte in studio di un autore, determinano spesso la sua carriera e il suo destino. Da questa raccolta viene fuori un sorprendente e inedito ritratto alternativo di un giovane e ambizioso artista trentenne. Un artista già maturo e piuttosto consapevole, che sa ciò come vuole, ma soprattutto come ottenerlo, produrlo e suonarlo. Il disco diventerà “The River”, uno dei doppi più celebrati della storia del rock. Bisogna però riflettere, a livello retrospettivo (e a noi oggi questa cosa è concessa!) su come sarebbe cambiata la carriera di Springsteen, se avesse inciso e pubblicato brani di successo come “Fire” e “Because the Night”, oppure se avesse scartato o pubblicato in altra forma, le sue hits: “Hungry Heart”, “Cover Me”, “Dancing in the Dark” e “Born in the USA”. Probabilmente staremmo parlando ora di un altro artista, con un impatto mediatico e un successo commerciale e popolare sicuramente inferiori.

Difficile fare la storia con i se e con i ma, ma aspettando la pubblicazione del prossimo box antologico, che presumibilmente dovrebbe riguardare le sessions di “Born in the USA”, possiamo tornare a riascoltare e a rivivere appieno le atmosfere whitmaniane di “The River”. Uno dei più grandi best seller della vicenda umana e artistica di Bruce Springsteen. Come disse Steve Van Zandt, chitarrista della E Street Band: “Qualsiasi musicista farebbe carte false per scrivere il materiale che Springsteen elimina e cestina dai suoi dischi”.

Questo a giudicare dai titoli, è più che veritiero e non si tratta di semplice agiografia. Il materiale inedito di Springsteen, è una delle cose più sensazionali per quanto riguarda il rock classico di matrice statunitense; sulla scorta del suo timbro vocale, dev’essere confluita in lui la spinta ancestrale di un’eredità americana a cui non ha opposto resistenze. Le correnti intrecciate del suo fiume, emissari e affluenti, appaiono ora chiare e distinte, ora sovrapposte e fangose, come si conviene a un ricercatore accanito delle radici musicale di un Paese vasto e contraddittorio, nel senso buono del termine, come gli Stati Uniti d’America. Non vi sono certo dubbi, alla luce di una carriera così longeva e ricca di successi, che la canzone in cui sboccia con maggiore vigore lo Springsteen adulto, come voce e come autore, sia proprio “The River”. Ed è quasi come se in questa occasione l’autore abbia consapevolezza di aver scritto un classico capace di sovvertire e mutare per sempre la sua carriera di songwriter. Non è certo casuale se “The River”, nel corso degli anni, abbia assunto una tessitura più complessa, come le tante diramazioni di un possente fiume in piena, sarebbe il caso di dire. Non che l’autore non avesse già scritto brani strutturati in maniera narrativa, ma qui si avverte con maggior vigore e impatto la capacità di condensare un’ampia sequenza, degna di un romanzo.

Come scriveva Dave Marsh che nel suo pregevole volume “Born to Run”, citando quell’eccezionale racconto di Thomas Wolfe, “You Can’t Go Home Again”, troviamo l’epitaffio di questa storia. Come in “The River”, queste righe potrebbero essere una storia o una preghiera per il futuro. Ci sono possibilità che siano entrambe:

Poiché egli ha imparato alcune delle cose che ogni uomo deve scoprire da solo, e le ha apprese nel modo in cui si devono apprendere – attraverso l’errore e la sofferenza, la fantasia e l’illusione, l’ipocrisia e la sua dannata scempiaggine, e attraverso l’ingiustizia, l’idiozia, l’egoismo, l’ambizione, la speranza, la fede e l’incertezza… Ogni cosa dì quelle che aveva imparato era così semplice che, una volta capita, si meravigliò di non averla sempre saputa. Tutte insieme, quelle cose erano una specie di filo conduttore che lo portava indietro attraverso il suo passato avanti verso il suo futuro. E pensò che adesso avrebbe potuto forse dirigere la sua vita verso una conoscenza profonda, perché sentiva un nuovo orientamento dentro di sé.

Prima che questi campi fossero arati, i nostri fiumi scorrevano gonfi fino all’orlo; la melodia delle acque riempiva i boschi freschi e senza confini; e i torrenti scorrevano e i rivi giocavano, e nell’ombra zampillavano le sorgenti. (William Cullen Bryant)

Discography

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