di Alberto Calandriello.
L’uscita di marzo per la serie degli Official Bootleg di Bruce riguarda il concerto del 27.06.2000 a New York.
Il Reunion Tour, l’anno zero dell’era dell’acquario springsteeniana, i primi vagiti di internet e delle sue comunità virtuali, il ritorno della ESB sul palco dopo 11 anni di pausa, tra pellegrini e fantasmi, un tour di 18 mesi finito con 10 shows al Madison Square Garden.
Una decina di concerti, quelli a NYC, che diedero libero sfogo alle fantasie represse di molti fans, prima di tutto per le scalette, ricche di chicche all’epoca davvero tali, prima dei cartelloni e dei Greatest Hits su richiesta.Questa data in particolare vede una setlist strepitosa, rarità, i pezzi forte del tour, Youngstown – Murder Inc – Badlands, la festa di Tenth Avenue, la mitragliata di Light of day, il finale con i super classici Born to Run e Thunder Road, l’inno a più voci If I should fall behind.
E Land of Hope and Dreams.
Il brano, che in quel tour era quasi sempre la chiusura del concerto, nella sua versione migliore (nulla a che vedere con quella su Wrecking Ball) e tutto quello che si porta dietro, quel messaggio di speranza, quel traguardo sognato e verso cui muoversi assieme.
Quelle mani alzate nel lunghissimo finale, che speravamo non finisse mai.
Quando uscì il live, nella primavera di 20 anni fa, nonostante i pasticci in fase di taglia e cuci, Land of hope and dreams (o LOHAD che noi fans amiamo gli acronimi) brillava anche se messa ovviamente alla fine e io adoravo quella versione.
Era primavera, c’era la voglia di caldo, di estate, avevo addosso una energia quasi giovanile e soprattutto stavo riscoprendo il gusto di essere innamorato e tutto questo era dentro quei 10 minuti di brano, era dentro “this train”, insieme ai santi, ai peccatori, a Woody Guthrie, a perdenti, puttane, giocatori d’azzardo e perfino qualche vincente.
Faith will be rewarded! Certo che si!
Vent’anni dopo oggi, riascoltando quella versione, ne sono stato travolto.
Verso la fine, dopo l’ennesimo “come on, this train”, dopo il “let me see your hands!”, la band ripartiva e Bruce saltellava sul posto, immediatamente seguito da tutto il pubblico; ancora oggi sentivo chiaramente la tristezza per l’avvicinarsi della fine del concerto, ma soprattutto la grande gioia di esserci stato, di aver ballato, pianto, urlato, amato ad un suo show.
E quell’ultimo pezzo strumentale sembrava non finire, ma soprattutto sembrava foriero di felicità, anche lontano da palazzetti o stadi, sembrava dirci “tenete queste emozioni dentro di voi, portatele fuori, fate diventare la vostra vita migliore anche grazie a queste note”.
Ascoltato oggi, mi ha devastato, ascoltato oggi, stanco, stufo, demotivato, mi ha investito come solo la musica sa fare.
Mi sono sentito tutto d’un tratto addosso la stanchezza mentale di questi 12 mesi, la mancanza di prospettive, per me, per mia moglie, ma in primis per le nostre figlie, frutto di quel progetto che 20 anni fa iniziavamo a condividere e che oggi a fatica riescono a immaginarsi un “dopo”.
E mai come oggi, ho sentito bruciarmi dentro il desiderio che queste parole si avverino, prima possibile:
Tomorrow there’ll be sunshine
And all this darkness past