Devils & Dust, oggi

di Dario Greco.

“Dopo l’evoluzione da rocker a icona americana, Bruce Springsteen sta sviluppando una nuova identità: quella di scrittore di racconti in musica. Il tono spesso è cupo, intriso di ricordi e di rimpianti” (Adam Sweeting, Uncut, giugno 2005)

“L’unica divinità a cui si può aspirare è racchiusa nel cuore della nostra umanità. Quando esprimiamo la nostra pietà diamo voce a questa aspirazione. Ecco perché a volte là fuori è così spaventoso”. Cercare una voce non ancora utilizzata è il manifesto poetico di questo lavoro di Bruce Springsteen, uscito in Europa il 26 aprile 2005. Devils & Dust è il 13esimo album in studio di Bruce e conclude l’ideale trilogia elettro-acustica iniziata con Nebraska nel 1982 e proseguita nel ’95 con The Ghost of Tom Joad. A livello produttivo si tratta dell’opera più ispirata realizzata con Brendan O’ Brien. Ed è anche il quarto disco in studio come solista nell’arco temporale di 13 anni di attività. Per certi versi è un lavoro che indica la strada e il modus operandi che di qui in poi il suo autore adotterà. Collaborazioni, album con la E Street Band elettrici, lavori solisti e maggiormente personali. Da qui in poi si può giungere agevolmente fino a Western Stars e al recente Letter to You. Tutto però in questo caso era iniziato con Better Days di Southside Johhny, disco del 1991 che conteneva una prima versione, differente, di All the Way Home. Springsteen dopo aver ceduto il brano al suo amico, se l’era ripreso, visto il valore artistico, realizzando una versione alternativa,  molto più tesa e nervosa e adatta per questo disco.

Non è casuale se in questo disco troviamo un nugolo di personaggi, come non si verificava dai tempi di Greetings from Asbury Park, NJ. Ancora una volta l’approccio è di tipo cinematografico, ma c’è da aggiungere un tono da narrativa popolare, stilisticamente quasi una lingua parlata, tra Guillermo Arriaga e Stephen Crane. È un disco molto teso, spirituale e allegorico. Qui trovano spazio capolavori di scrittura come The Hitter, che deve forse qualcosa a John Huston e a Steinbeck, così come Matamoros Banks. Il brano sembra una sorta di sequel di Sinaloa Cowboys, uno dei testi più riusciti di The Ghost of Tom Joad, che raccontava la storia vera di due fratelli messicani, intenti a produrre nel deserto metanfetamina per il cartello di Sinaloa. Uno Springsteen che inforca le lenti del cronista e diventa abile reporter, dove i dettagli dicono quasi tutto. È un brano esemplare che mostra tutte le qualità dello Springsteen scrittore, a mio avviso. Cupo, come è giusto che sia, dato che si parla di morte, di uno dei tanti disperati che tentano di attraversare il confine tra Texas e Messico, alla ricerca della speranza e della Terra Promessa. Springsteen racconta la storia a ritroso, iniziando dal ritrovamento del corpo e prosegue ricostruendo il sonetto d’amore dell’uomo rivolto alla sua donna, che invece è riuscita ad attraversare il confine prima di lui. Una commemorazione mesta, dove la voce sussurrata si presta bene all’operazione. Di toni sommessi ce ne sono ancora, così come c’è energia, comprensione per la miseria umana, quasi rassegnazione. Un elemento nuovo per la poetica springsteeniana, forse.

Reno è un brano inusuale che racconta di un incontro tra il protagonista e una prostituta, ma anche qui sono fatalismo e disperazione a farla da padrone. Ciò che colpisce con maggior vigore in questo ispirato lavoro in studio è la totale assenza di rabbia e di furore musicale. Springsteen si affida alla preghiera e gioca di sottrazione, vincendo la sua sfida con un disco che poteva essere complicato da portare a casa. Un disco di fruscii e di sussurri, dove le scelte sonore si rivelano più che azzeccate. Non è facile sfuggire alla rassegnazione di questo disco, che risulta quindi difficile da ascoltare e da capire, quasi come un requiem per il suo Paese, questa dura terra che aveva ispirato Springsteen con The Rising, invitando tutti a risollevarsi e a tirare via la polvere da loro stessi e da pensieri molto tristi. Stavolta però non se la sente: questa è l’istantanea di un’America catturata mentre si trova in un vicolo cieco senza uscite. Una delle opere più vibranti di critica sociale, lo studio coraggioso su un Paese in ginocchio che non trova la forza e la testa per ottenere salvezza. Duro, difficile, ma necessario. 

Considerazioni finali su Devils & Dust.

Come afferma Joseph Cambell ne “L’eroe dai mille volti”: i miti sono fioriti tra gli uomini in tutti i tempi, in tutte le regioni della terra, e al loro vivificante afflato si deve tutto ciò che l’attività fisica e intellettuale dell’uomo ha prodotto. Né sarebbe esagerato affermare che le inesauribili energie del cosmo si manifestano nella cultura umana proprio attraverso il mito. Le religioni, le filosofie, le arti, le forme sociali dell’uomo primitivo e storico, le scoperte scientifiche e tecniche, gli stessi sogni che popolano il sonno, scaturiscono indistintamente dalla fonte magica del mito. Questa singolare capacità di raggiungere e stimolare i più profondi centri creativi è peraltro insita anche nella più semplice favola infantile – così come il profumo dell’oceano è contenuto in una minuscola goccia o l’intero mistero della vita nell’uovo di una mosca. Infatti i simboli della mitologia non si fabbricano, non si possono inventare, controllare, o abolire per sempre: sono produzioni spontanee della psiche e ciascuno ne conserva intatto il potere germinativo.

Bruce Springsteen attraverso la sua trilogia composta da Nebraska, The Ghost of Tom Joad e terminata con Devils & Dust centra in pieno l’obiettivo di narrazione mitologica e ancestrale. Le sue storie sono in apparenza semplici, dato che in esse c’è dentro tutto quello che serve per farle funzionare e per farle camminare con le proprie gambe, in modo agile, ma deciso. Prendiamo a modello qualsiasi brano tratto da questi album e vedremo come che la loro forza stia proprio nella scrittura asciutta, precisa, essenziale. Non saranno i dischi più belli da ascoltare, forse, ma contengono la forza della vera essenza dell’arte.

“La tua voce deve dissolversi in quella del personaggio della storia che canti. Cosa farebbe e cosa non farebbe. Il ritmo, la cadenza della sua parlata. È questo che cerco di ottenere, adesso” (Bruce Springsteen) 

Discography, Spare Parts

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